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Anno edizione: 2022
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Sante lo guardò con gli occhi furbi: “Signor Delegato, godetevi la Pasqua, finora abbiamo parlato di me, poi toccherà a quelli con le scarpe fine.” Con queste parole sibilline Sante il bandito, detto Zecchetta, si accomiata dal Delegato prefettizio Urbano Sartor, inviato nell’Appennino pesarese per stroncare il brigantaggio dilagante in quei paraggi. Ho scelto questo passaggio perché è emblematico del nocciolo del racconto, che va oltre il resoconto lineare della lotta al banditismo per scendere nei meandri oscuri e inconfessabili delle connivenze e delle convenienze che legano le manovalanze criminali ai potentati che, da sempre, sanno ben tenersi nell’ombra, manovrando le fila di sottili inganni per volgere gli eventi a loro favore. L’autore ci accompagna per i luoghi dell’entroterra pesarese al confine tra Marche e Umbria posizionando le vicende nel primo decennio dell’unità d’Italia. Il lettore si immerge senza fatica nel periodo storico narrato, tra i primi passi del nuovo Stato unitario e le sue contraddizioni, tra la diffidenza e l’ostilità di popolazioni da poco sottratte al lieve giogo papalino e ora terrorizzate dalla perdita di manodopera, loro unica ricchezza, causata dal nuovo istituto della lunga leva obbligatoria. L’autore si fa apprezzare per la puntualità della sua ricerca storica, dalla toponomastica della città di Cagli rapportata al periodo narrato, fino alla trattazione della vita giornaliera, degli oggetti, delle vie di comunicazione, dimostrando ancora una volta una destrezza ben sedimentata che giunge fino alla descrizione delle attività contadine e della flora dei luoghi oggetto di ambientazione. Il lettore si ritrova all’ultima pagina in men che non si dica, con la sensazione di aver davvero vissuto al fianco del Delegato Sartor, del Maresciallo Sforzacosta, del bandito Zecchetta e di tutti gli uomini e le donne che costellano questa riuscita rappresentazione, ove si muovono, silenti e ambigui, allora come ora, quelli con le scarpe fine.
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