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Sinceramente l'ho trovato un libro molto bello e intimo.La visione della politica di Sepulveda,anche se si capiva dai precedenti lavori,è chiara;come è chiaro il suo impegno ambientalista.La visione di una sinistra che ha perso,secondo me,è giusta ma questa critica non è un epitaffio anzi tutta l'intervista è uno stimolo alle nuove generazioni di chiedere sempre di più a chi ci governa.Purtroppo a tutt'oggi i Grandi pensano solo alla guerra e non ad uno sviluppo sostenibile.
"Quando vivi intensamente, capisci presto che la cosa più facile, più normale, è il fallimento. Però solo dai fallimenti ricavi una vera lezione". Altro da aggiungere? Un capolavoro, assolutamente imperdibile.
Non è un romanzo, ma un'intervista che scopre il "Sepulveda complete": lo scrittore, il militante, il profugo, l'essere sociale. Inevitabilmente il giudizio dipende dai gusti del lettore - se chi legge è un militante di Forza Italia la distruzione è assicurata. A me lui, Luis, risulta simpatico, specialmente quando racconta dei casini che ha fatto scoppiare. La sua politica - evidentemente condivisa da Bruno Arpaia - invece mi urta (senza essere forzista). Mi irrita ad esempio che la sinistra abbia, nel loro giudizio, perso le capacità di proposta con la caduta del Muro: se anche prima la proposta era quella, meglio lasciar perdere. Mi irrita che tutte le speranze stiano col popolo di Puerto Alegre: lo sviluppo economico non è tutto, ma quando il progresso si misura in calorie serve, eccome. E mi urta in generale l'attitudine di entrambi alla retorica e a guardarsi l'ombelico. Francamente anche la parte letteraria mi sembra riduttiva, con questo concetto che il romanzo deve essere basato su una bella storia coinvolgente. Sia chiaro, io sono così, preferisco l'Isola del Tesoro alla Veglia di Finnegan o alla Montagna Incantata, ma restringere così la letteratura mi mette a disagio. Ma comunque ... il tentativo l'ho fatto. Non ci ho trovato granché che mi piaccia, ma almeno ho pensato un po'. Naturalmente gli ambientalisti troveranno tesi che piacciono. Ma non considero questo un buon motivo per leggere un libro: e questo francamente lo sconsiglio.
Recensioni
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«O si è un seduttore o non si è uno scrittore. Se non si è convinti di stare usando le parole più belle del mondo, della necessità di raggiungere con quelle parole un ordine esteticamente perfetto che riempirà di ammirazione chi legge, non si sta credendo in ciò che si scrive. Non si può fare nulla in letteratura se non si parte dalla premessa fondamentale che si scrive per sedurre il lettore.»
Un romanzo è sostanzialmente il racconto di una vicenda e tutto ciò che è superfluo va eliminato: questa è la tesi e il metodo di lavoro di quel grande scrittore che è Luis Sepúlveda e proprio questa idea della scrittura indica come l'essenzialità e la capacità di sintesi sia una delle doti più difficili da possedere. Che cosa è più difficile? Sicuramente tagliare, potare l'albero di parole che si è creato e che di certo fa ombra all'idea centrale del racconto.
Le parole poi devono essere funzionali ai temi che vogliono essere comunicati e non amate in sé, tutto ciò in una visione di contenuti, di concetti e nella concezione stessa della vita che un uomo ha.
Due scrittori, Luis Sepúlveda e Bruno Arpaia, così simili e così diversi, dialogano sulla letteratura e sull'etica, sulla tecnica e sulle scelte, e ciò che emerge è principalmente la stretta unione tra arte e vita, tra uomo e scrittore.
Così il dolore, la sofferenza provata non possono diventare materia della scrittura se non quando la vittima ha raggiunto un certo distacco e sa rendere la propria esperienza in modo universale e non solo strettamente autobiografico.
Ma l'elemento che dà maggior fascino (e che le discrete domande di Arpaia evidenziano) al personaggio Sepúlveda è la sua vita avventurosa e drammatica, la coerenza e l'onestà intellettuale che hanno caratterizzato opere e scelte. Così emerge dal libro come lo scrittore cileno non abbia reputato per anni possibile per lui trasferire direttamente sulla pagina la propria esperienza, anche se avrebbe potuto rappresentare un modello, ma abbia dovuto far trascorrere molto tempo perché la violenza subita era stata eccessiva e non riusciva a trovare parole adeguate a descriverla.
Così si nota l'attenzione al linguaggio, al termine, allo stile oltre che al "messaggio". Altro elemento da segnalare è la lucida capacità di osservare le trasformazioni politiche ed economiche in atto, e la determinazione con cui si schiera (è un suo antico vizio) dalla parte dei perdenti e dei deboli. Così il Sud, del Cile in particolare e del mondo in generale, ha rappresentato la materia privilegiata del suo narrare e la Patagonia con gli immensi spazi e gli immensi silenzi è, grazie a Sepúlveda, diventato un luogo dell'immaginario collettivo, un luogo in cui perdersi è ritrovarsi, e la fantasia può compiere vagabondaggi senza confini.
Si deve ringraziare Bruno Arpaia per la capacità di sollecitare l'interlocutore con domande stringate e che volutamente danno spazio all'intervistato.
A cura di Wuz.it
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