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"Provi a fare in futuro un romanzo in cui l'artista sia l'eroe" - raccomandava George Sand, nel 1866, a Flaubert. - L'artista è un così difficile soggetto da romanzo, che io non ho mai osato crearlo". Flaubert, che pur ribatteva di provare "una repulsione invincibile a mettere sul foglio qualcosa del suo cuore", non fu l'unico a esaudire una simile richiesta - in maniera indiretta e del tutto surrettizia - sceneggiando, lettera dopo lettera, il canovaccio di quell'arduo romanzo nella corrispondenza intrapresa per anni con la stessa Sand. Anche Henry James sembra aver raccolto la sfida a più riprese nel corso della sua carriera, comprimendo e disseminando il "romanzo dell'artista" in una serie di racconti poi radunati, nel 1944, da Francis Otto Matthiessen sotto il titolo guida di Stories of Writers and Artists .
James, a ogni modo, ha assolto il compito a una condizione implicita ma insindacabile: a patto di potersi avvalere degli schermi e dei diaframmi necessari per tenere l'artista-eroe a debita distanza, circondarlo di un'aura sacrale e far coincidere il suo misterioso dramma con quello di "un altro"; a patto che, in altre parole, in questi racconti non sia mai (come ci si aspetterebbe) l'artista-eroe a dire io , e che la sua voce in presa diretta emerga qua e là attraverso le calcolate battute del dialogo fra i personaggi o, al più, grazie a provvisorie incursioni nella sfera privata dei suoi pensieri. A costituirsi come narratore del dramma intellettuale, nella maggior parte dei casi, è invece "un partecipante non nominato, non presentato", "rappresentante o delegato dell'autore" che - stando a quanto spiega James nella prefazione a The Golden Bowl - ci consente di prendere contatto con l'universo del racconto da una prospettiva ristretta, a sua volta in grado di scongiurare qualsiasi automatica identificazione fra James e lo scrittore/artista-eroe del racconto, e di ingigantire al tempo stesso, sullo sfondo della narrazione, la fisionomia di un personaggio chiave: il genio imperscrutabile, rinchiuso nell'elitario, mistico iperuranio della sua missione creativa.
"Ogni volta mi son dovuto dire: 'Drammatizza! Drammatizza!'" - dichiara James nella prefazione a The Author of Beltraffio , il sedicesimo volume dell'edizione newyorkese dei suoi scritti, che comprende alcuni dei racconti antologizzati da Matthiessen. È come se davvero lo scrittore - secondo quanto testimoniano, del resto, altre sue dichiarazioni - avesse trovato i "modelli" per questi racconti "fuori da se stesso", e tutto il suo "divertimento" consistesse nella messa in scena di un determinato soggetto (nella fattispecie, i rapporti di uno scrittore/artista con la vita mondana, la propria opera e il pubblico "dalle spalle grosse"; e soprattutto il problema della "persona reale" del narratore) nello spazio ristretto del racconto. Oppure - e al contrario - è come se James tentasse di soffocare l'intollerabile emergenza di una materia scottante - le possibili coincidenze fra il proprio io e quello di qualche personaggio in causa - dietro i problemi di ingegneria narrativa. Anche perché - ce lo testimoniano lettere, taccuini, prefazioni, e lo stesso Matthiessen nella sua introduzione - le assonanze e le coincidenze fra il destino di alcuni eroi-artisti e la biografia di James sono molteplici, puntuali, talvolta così sbalorditive che risulta impossibile, nonostante le operazioni di dirottamento ordite con ogni cura dallo stesso James, non riconoscere in più di un protagonista una controfigura, un doppio, un prestanome, a cui lo scrittore sembra aver delegato il racconto delle proprie vicissitudini, ricavando l'opportunità di vivere una sorta di seconda vita.
Ma allora le Stories of Writers and Artists costituirebbero - per un individuo che, come James, riteneva "esecrabile" la "maledetta forma autobiografica", capace di accreditare "l'inesatto, l'improvvisato, il banale, il facile" - un modo elegante per far emergere sotto mentite spoglie la linfa costitutiva della futura (e purtroppo incompiuta) Autobiography di Henry James? Non credo sia lecito dimenticare che la raccolta di racconti in questione non fu progettata da James, ma da Matthiessen, allo scopo di richiamare l'attenzione su un "gruppo di opere" solitamente trascurate dalla "critica"; è vero però, in ogni caso, che l'operazione di Matthiessen, pur lasciando inspiegabilmente da parte alcuni testi indimenticabili (come, per esempio, il racconto The Private Life ), ci permette di rilevare il ritorno ossessivo ed enigmatico di una tematica precisa; ci consente anzi di apprezzare come James, grazie a una sorta di autorappresentazione in codice, non abbia rinunciato a raffigurare un altro se stesso come parte integrante del proprio universo narrativo, e a disseminare, per vie indirette, quell'universo con le tracce - direbbe Ernst Kris - di un "mito personale" ripetutamente collaudato, con l'immagine dell'artista "totale", dedito a esperimenti letterari raffinati, in lotta con un pubblico non più in grado di esercitare "la facoltà di attenzione".
Ma, soprattutto, la raccolta ci consente di apprezzare il modo in cui James, sfruttando peraltro a fondo le possibili variazioni messe a sua disposizione da una simile tematica, è riuscito a impartire all'irriconoscente pubblico di lettori una lezione decisiva e ad assicurarsi un'obliqua rivincita personale. Perché una volta tramutato lo spazio del racconto nel teatro di un duello all'ultimo sangue fra i rappresentanti dell'arte (della letteratura) - "risultato oggettivo di un progetto", dirà altrove James, pronto a mettere a repentaglio le vite dei suoi mistici adepti - e la vita - sua avversaria "inconsapevole, agitata, confusa, tumultuosa" - James ci mette a contatto con una serie di nostre possibili controfigure (primo fra tutti, lo sconfitto narratore del racconto The Figure in the Carpet ) destinate a soccombere nella loro (sovente meschina) ignoranza di fronte all'"avvincente mistero della narrativa".
E dopo aver incarnato nel corso della sua esistenza il ruolo dello scrittore integerrimo, disposto - un po' come Flaubert - a reprimere, rimuovere e sacrificare la propria autobiografia di fronte alle religiose esigenze dell'opera, James riesce comunque a drammatizzare trasversalmente, sotto i nostri occhi, un nucleo di spettri personali, paure, angosce; ci costringe - senza contrarre debiti irrevocabili con la propria vita privata, e senza poter essere accusato di narcisismo - a fare i conti con l'ombra di un genio trionfante, incapace di non lasciare alle proprie spalle irrisolti interrogativi; e sottraendoci una volta per tutte la speranza di scoprire il segreto della creazione, ci condanna punitivamente a esercitare il mestiere di eterni sconfitti.
Non che il lettore - ben prima che la raccolta di Matthiessen venisse allestita - non avesse dimostrato, per parte sua, di avere incamerato la lezione e di averne accettato di buon grado le conseguenze. Si racconta infatti che una volta Max Beerbohm, dirigendosi verso il Savile Club di Londra per leggere un nuovo racconto di Henry James, si imbattesse casualmente nello scrittore, suo amico, che lo invitò ad accompagnarlo a visitare una galleria. Beerbohm non ebbe dubbi: preferì inventare una scusa, piantare in asso James e precipitarsi indisturbato al Savile Club per immergersi nella lettura del suo racconto. Non importa poi se in quella pratica - sembra suggerirci l'aneddoto - Beerbohm avrebbe trovato inscritti i presupposti dell'inesorabile sconfitta di cui ci hanno parlato i racconti: anche a queste condizioni, la letteratura, che ha il potere di dissolvere le caotiche angosce della vita e finisce per prevalere persino sulle affannose manovre degli stessi artisti, racchiude pur sempre un cospicuo margine di piacere, continua a costituire un risarcimento a cui rinunciare sembra impossibile.
Ivan Tassi
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