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Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento - copertina
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Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento - copertina

Dettagli

1993
1 settembre 1993
3 voll., 2076 p., Rilegato
9788884020369

Voce della critica


recensione di Patrizi, G., L'Indice 1994, n. 3

È noto agli studiosi della novella, nella letteratura italiana, quanto sia fondamentale il ruolo svolto nella fondazione e nella tradizione del genere da quella forma embrionale di racconto, peraltro finalizzato a valori extraletterari, che costituisce l''exemplum'. Una ricca bibliografia, italiana e non, ha analizzato le modalità di trasmissione di temi agiografici o moraleggianti, ma anche di formule narrative che innestano sui più complessi modelli della scrittura quattro o cinquecentesca coloriti exploits dialogici o di affabulazione popolaresca. Molto opportunamente quindi la collana dei "Novellieri italiani", diretta da Enrico Malato per la Salerno editrice, ospita, tre massicci volumi in cui il patrimonio degli 'exempla' è offerto attraverso le testimonianze più significative o storicamente determinanti. Nei tomi dei "Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento", a cura di Giorgio Varanini e Guido Baldassarri, sono pubblicate finalmente in edizione moderna alcune di quelle raccolte di narrazioni esemplari che furono il repertorio inestinguibile dove umanisti e anticlassicisti, letterati riformati e ortodossi tridentini attinsero fatti edificanti ma anche miti, leggende, 'faits divers', per le loro raccolte di stampo decameroniano. I tre volumi offrono, gli autori maggiori di questa tradizione: dal domenicano Jacopo da Varagine, autore della "Leggenda aurea" - qui pubblicata a cura di Valerio Maruccia -, la raccolta delle vite dei santi che ebbe una fortuna secolare in tutta Europa, probabilmente per la sua capacità, come scrive il curatore, di mantenersi "priva di qualsiasi spunto settario, sostanzialmente ferma, nella dottrina, al nucleo primitivo del messaggio cristiano", all'altro domenicano Giordano da Pisa, il cui repertorio, curato da Guido Baldassarri, è il più variegato, motivato com'è da istanze enciclopediche, tutto ancora mosso dalle tracce delle performances orali delle predicazioni, con una straordinaria sensibilità retorica per le esigenze del pubblico dei fedeli. E ancora dal predicatore fiorentino Iacopo Passavanti, a cui si deve quello "Specchio li vera penitenza" opera canonica del genere, che coniuga la precettistica teorica - fondata su una vasta dottrina teologica - con un'esemplificazione pratica derivata dall'osservazione partecipe della vita quotidiana e animata da grande verve narrativa, agli esempi del pisano Domenico Cavalca e del frate agostiniano Filippo degli Agazzari, da Siena, i cui testi sono curati rispettivamente da Marcello Ciccuto e da Carla Maria Sanfilippo; il primo ancora un domenicano che stempera l'eloquenza moralistica nell'attenzione alla verifica della dottrina nel mondo popolaresco dei fatti esemplari, il secondo un tipico rappresentante di un sapere monastico quasi sempre di seconda mano, costruito su conoscenze magmatiche, "filtrate e spersonalizzate, topoi", dunque particolarmente adatto a testimoniare l'affabulazione semicolta da cui nascevano le prediche e le invocazioni parenetiche, al tempo stesso frutto e canale di trasmissione di una visione del mondo "regolata" e di sicura funzionalità pedagogica.
Il "racconto esemplare" - oltre a porsi come testimonianza di una religiosità fondata su una "pratica" del quotidiano che non esita a inquinare i valori della fede con quelli dell'esistenza mondana - pone, sul piano del genere letterario, alcuni importanti problemi di definizione: essendo una delle forme archetipiche del racconto, su cui si fonda l'intera cultura narrativa occidentale moderna, l''exemplum' andrà analizzato nelle sue peculiarità narrative. Ed è in questa sede che emerge il problema del rapporto tra la matrice orale del testo e la sua trasmissione: se da un lato tutti gli autori dei racconti esemplari sono, come si è detto, predicatori, dall'altro tutti questi testi sono filtrati dalle tecniche riproduttive, più o meno "normalizzanti", dei 'reportatores' che, per lo più autonomamente e talvolta sotto la guida dello stesso predicatore, trascrivevano e inevitabilmente manipolavano i racconti. Ecco allora da un lato la difficile filologia di testi in cui si dovrà riconoscere la stratificazione della mano del 'reportator' e della voce del predicatore, dall'altro lo statuto particolare di prose in bilico tra "discorso" e "racconto", dove l'uno motiva e sostanzia l'altro. Su tutto l'attenzione - e la passione - per quello che è, assieme, il mezzo del peccato e della virtù, della passione e della riflessione: la parola, al cui culto, anche grazie alla tradizione specifica degli 'exempla', saranno votati tanti novellatori, da Boccaccio in poi, che esibiranno nella loro prosa i tesori espressivi di un'oralità come sanzione primaria dell'autenticità della scrittura.

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