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Anno edizione: 2005
Anno edizione: 2014
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Ho letto la prima edizione “Rusconi” dell’aprile 1973, di cui riporto, qui di seguito, parte dell’introduzione: “In questo libro, composto da due racconti-cronache, Wolfe mette alla berlina quegli ambienti Chic Radicale di cui esiste anche una versione italiana, descrivendo una serata mondana all’insegna di Invita-una-Pantera-Nera-al-Cocktail. Quando “Lo Chic Radicale” apparve per la prima volta nel giugno del 1970 sul “New York Magazine”, lo scandalo fu grande.” Sono convito che Tom Wolfe (1933-2018) ci abbia lasciato un vero e proprio saggio sociologico sulla società statunitense e non solo. Se guardiamo all’odierna situazione italiana, secondo me, quello del “Radical Chic” (o “Chic Radicale”) è forse un concetto, in gran parte, superato. Mi spiego. Sono convinto che siamo ormai giunti a uno stadio successivo: il “Radicalismo di massa”. Per cui certi elementi ideologici appartenuti un tempo alla ristretta schiera dei “Radical Chic”, si sono ormai diffusi a macchia d’olio, finendo per diventare prerogativa di ampie fette della popolazione. A tal riguardo, il compianto Augusto Del Noce fu senz’altro profetico. Infatti, nel suo “Il suicidio della rivoluzione” (Aragno, 2004), egli scriveva che “l'esito dell'eurocomunismo non può essere che quello di trasformare il comunismo in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata”. Sono convito che a tale processo di estensione del “radicalismo” alle masse, abbia senz’altro contribuito la trasformazione della società italiana in “Società signorile di massa” (Luca Ricolfi, La nave di Teseo, 2019) e che la Rivoluzione del ’68 sia stato il catalizzatore più potente di tale "trasbordo ideologico" della società. L’ideologia radicale, un tempo assai minoritaria, è oggi talmente diffusa da spingere alcuni movimenti politici, d’ispirazione marxista, a cambiare il proprio fine politico trasformandosi, di fatto, da partiti di classe, in “partiti radicali di massa”.
Sagace e feroce critica all'alta (anzi stra alta visto che siamo a Manhattan) borghesia neworkese, Wolfe mette alla berlina le ipocrisie dei benpensanti riformisti anni 70...davvero divertente e sempre attualissimo, da leggere e rileggere!
Bel regalo al pubblico italiano quello dell’editore Castelvecchi, che propone il famoso saggio del 1970, “Radical Chic”. Tom Wolfe sollevò un gran putiferio dalle pagine del New York Magazine con questo attacco corrosivo e divertentissimo alla società benestante e progressista della Upper Manhattan. Oggetto dell’ironia di Wolfe, che sarebbe stato investito dalle critiche dell'establishment letterario e intellettuale, quella moda che si andava diffondendo a fine anni sessanta negli ambienti colti e raffinati newyorkesi, e che portò personaggi come Leonard Bernstein ad organizzare nel suo duplex di Park Avenue un party (“Una riunione!” sarebbe insorto il grande compositore e direttore d’orchestra) a cui avrebbero partecipato, oltre ai soliti noti dell’elite, un gruppo di agguerrite e fichissime Black Panthrs. Nasce così – da eventi come l’episodio scelto e mirabilmente descritto da Wolfe - il radical chic, termine poi entrato nell’uso comune per identificare un bianco benestante, con idee liberali e di sinistra, che subisce il fascino di rivoluzionari radicali ammantati di romanticismo; che li invita nel suo salotto ad una serata mondana per conoscere i problemi della strada e per raccogliere fondi rigorosamente “non deducibili fiscalmente”; che poi, davanti all’insorgere delle polemiche, li scarica per tornare alla più innocua lotta per la difesa dei diritti degli animali. Il tema, quasi inutile dirlo, è ancor oggi attualissimo. A “Radical Chic” si accompagna anche il coevo e altrettanto divertente “Mau-mauizzando i Parapalle”, in cui Wolfe prende di mira i rapporti tra le minoranze militanti dei quartieri poveri di San Francisco e la burocrazia negli anni del Programma Povertà del governo.
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