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Un buon ritmo narrativo ci trasporta nel mondo folle di questi gruppi di sbandanti che gravitano attorno al solito guru. Una fanciulla che non sa cosa fare di se stessa e di un mondo vuoto ne subirà l'attrazione. Qualche notazione psicologica in più non avrebbe guastato.
Scrittura non facile quella della scrittrice. Devo ammettere che ho fatto una notevole fatica per le prime 70-80 pagine, tant'è che dopo averne rimandato la lettura dallo scorso anno, stavo per rinunciare definitivamente. Fortunatamente ho resistito perché il libro a un certo punto svolta, la storia si fa sempre più intrigante e la scrittura dapprima un po' prolissa diventa efficacissima nel descrivere il disagio esistenziale che regna sovrano in tutto il libro.
Per il momento il mio romanzo preferito di quest’anno. Scrittura ricchissima di dettagli e storia ben raccontata.
Recensioni
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Da ragazzini gli innamoramenti sono atti di rivendicazione, tentativi di azzardare la propria identità per opposizione: innamorarsi significa odiare ciò che non si è scelto. È così che accade a Evie Boyd, protagonista di questo impressionante romanzo d’esordio di Emma Cline.
Evie – una 14enne compressa tra l’insofferenza verso i suoi genitori e la prima goffa seduzione di un cinismo da grandi, trova la sua epifania in un parco, nella bellezza sprezzante e disinvolta di un gruppo di ragazze hippy. Soprattutto di una loro: Suzanne. Siamo in California, nell’estate del ’69, al tempo in cui la radicalizzazione poteva prendere l’aspetto di una comune.
Emma Cline rievoca i tragici eventi legati alla Manson Family, rimettendo in scena i suoi personaggi in chiave romanzata: un gruppo di ragazze raccolte attorno a un guru, Russell, in grado di far risplendere di luce mistica il loro trauma sommerso (perché un trauma non si nega a nessuno) in una sorta di orgia psichedelica dove adorare l’unico vero dio a misura di ragazza: il disagio.
Evie si unirà alla comune, inseguendo il suo amore – più mimetico che romantico – verso Suzanne, ma restando sempre a due passi da lei, nell’impaccio di chi sta cercando di dare una dimensione credibile alla propria giovinezza, fino ad accorgersi di avere assunto lei stessa la “forma di una ragazza”. Voto 4/5
Recensione di Veronica Raimo
«Non appena mi cadde l'occhio sulle ragazze che attraversavano il parco, la mia attenzione restò fissa su di loro. Quella dai capelli neri con le sue accompagnatrici, la loro risata un rimprovero alla mia solitudine. Stavo aspettando che succedesse qualcosa, senza sapere cosa. E poi ecco.»
Giugno 1967. Un diluvio di giovani si abbatte sul bollente asfalto di San Francisco. C’è una strana vibrazione nell’aria, un ancestrale richiamo alla bellezza che riverbera dalle distorsioni fuzz della chitarra di James Marshall Hendrix, Jimi per gli amici. Da Monterey rimbomba il catartico clangore dei feedback della sua Stratocaster, verbo incarnato di quell’ascesi psichedelica capace di aprire le porte della percezione e avviluppare le sinapsi sciolte degli hippy in un’ammucchiata chimica fatta di amore libero, droghe e il sitar di Ravi Shankar. Il paradiso insomma.
Tra le strade californiane tuttavia si aggira un losco figuro dal lungo crine bisunto e gli occhi spiritati. Sta provando a sfondare nel mondo della musica, tormentando di tanto in tanto Dennis Wilson nella vana speranza che il batterista dei Beach Boys possa proporre al fratello Brian i testi delle sue canzoni.
Ma ora non è interessato alla musica, ora sta cercando un particolare tipo di ragazza. Deve essere possibilmente di bell’aspetto ma al contempo una sbandata di nessun valore, una che, nonostante la giovane età, ritenga la propria vita giunta già a un bivio. Un cocktail letale che, se miscelato correttamente, può dar vita a quel genere di ragazza capace di cederti il totale controllo della sua vita. Quel giovane trasandato, ma sempre contornato da torme di ragazze bellissime, è quindi alla ricerca di materiale facile da modellare, forte delle tecniche persuasive imparate a Scientology. Per farla breve a quel ragazzo di nome Charles Manson interessa plasmare la psicopatica perfetta.
Il notevolissimo debutto di Emma Cline, enfant prodige della narrativa nord-americana, è un seducente romanzo di formazione che re-immagina i delitti della Manson family dall’inedita prospettiva di un’ex adepta sfuggita per un soffio alla partecipazione ai massacri. La protagonista è Evie, donna di mezza età dalla vita insipida, ancora ossessionata, nonostante siano passati decenni, non tanto dalla figura del leader della setta, ma da un’altra adepta, Suzanne, la più temeraria delle assassine. I suoi ricordi volano alla sua personalissima Summer of Love, non goduta perché aveva solo quattordici anni ed era quindi troppo giovane per vivere al massimo quei giorni, ma anche troppo grande per gingillarsi con le sciocchezze da bambini. Una scomoda età di passaggio, resa ancora più difficile dal divorzio dei suoi genitori.
In un casuale girovagare in città incontra Suzanne, splendida ragazza iconoclasta che in un batter d’occhio la porta sulla cattiva strada, introducendola alle sue amiche, accolite di una comune hippy gestita da Russell, demiurgo dall’aura mitica che rappresenta l’alter ego di Manson. Il deragliamento dai sicuri binari dell’ovattata vita di provincia californiana avviene nel breve volgere di una giornata e Evie si ritrova immersa in un inferno di sesso promiscuo, torture sadomaso e violenze psicologiche immani. Il fascino per Suzanne è però più forte del senso del pericolo, un magnete che trascinerà la protagonista nei meandri più perversi di quell’infernale labirinto che è la mente umana, imperscrutabile mistero e propellente delle azioni più nefande.
La giovanissima scrittrice, classe 1989, sicuramente da tenere d’occhio per il futuro, indaga con una maturità stupefacente una delle pagine più inquietanti della Summer of Love, provando a immaginare cosa passasse nella testa di quelle fragili ragazze traviate da Manson.
Emma Cline vi riesce gettando Evie in un tossico e depravato paese delle meraviglie per introdurla, come la Alice di Carroll, alle insidie dell’età adulta, attraverso quel traumatico filtro che risponde al nome di adolescenza.
Il risultato di questo romanzo è quindi un rapido e squisito viaggio, con biglietto di andata e per fortuna anche ritorno, laggiù nella tana del Bianconiglio, da cui la Cline riesce a far uscire in tempo Evie. Ma cosa è rimasto di quella squinternata quattordicenne nella mite donna di mezza età che ci racconta questa storia? I ricordi di Suzanne di sicuro, ma soprattutto l’immagine, ammantata di sollievo, di cosa sarebbe potuta essere la sua vita se non avesse trovato il coraggio di fuggire. Un costante senso di straniamento attanaglia oggi Evie e continuerà ad esserne cinta fintanto che non troverà il coraggio di andare avanti, intrappolata in una vita segnata da un evento che pur avendola solo sfiorata, la tormenterà per sempre, perseguitata dall’allure erotico dell’immagine di Suzanne, la ragazza che poteva essere.
La Cline con questo debutto traccia la splendida topografia di un cuore devastato dalla solitudine, attraverso il ritratto di una giovane che rincorre un pericolo aldilà della sua comprensione, in una Estate di paura, delirio e desiderio.
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