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Un singolare romanzo di formazione che procede per piccoli tocchi di quotidianità raccontati in prima persona dal protagonista adulto, autobiografia dell’infanzia e dell’adolescenza di un Giono che qui offre una preziosa chiave di lettura per l’opera maggiore dando come in una tavolozza i colori della sua scrittura. Il ragazzo celeste, libera resa del non facilmente traducibile Jean le Bleu, è il bambino ingenuo il cui sguardo innanzitutto è bleu. Il suo stupore è alla rovescia, rispetto alla sensibilità del lettore non bambino. Impercettibilmente trasmette l’incanto provato di fronte al naturale via via scoperto, e altrettanto impercettibilmente appiana l’abnormità semplificandola. Centro assoluto della narrazione è la figura del padre, un ciabattino anarchico tanto calmo e pacato nell’atteggiamento quanto ribelle nell’agire, che aiuta chiunque sia in difficoltà, in particolare i fuoriusciti italiani, risolvendo le situazioni più imbrogliate con misteriosa tranquillità, e che con scienza misteriosa cura i malati di Manosque. Per Jean, soggiogato da ogni gesto del padre, persino una piaga purulenta può animarsi e diventare una bocca con due labbra carnose. Mentre "l’uomo nero" dal passato tenebroso, ma che sa di libri, diventa l’iniziatore, racconta al bambino una lettura a settimana ("Tutta quella grande danza del ciclope e di Ulisse, lui la leggeva con voce sugosa e piena che si approfondiva di echi muscosi sulla parola ‘antro’, che scivolava e schizzava nel latte e nel vino e colava come vento e schiuma sulle vele, sui remi, sul mare" – molto efficace la traduzione di Francesco Bruno). I primi turbamenti amorosi vengono con gli odori e le forme, che siano di una macchia di verzura su un muro profumata di muschio, o delle giovani lavoranti che aiutano la madre di Jean, stiratrice. La scrittura trascolora spesso in immagine sorprendendo ogni volta per l’effetto immediato. È dalla finestra della soffitta che Jean scopre la vita dei vicini, pezzi paradigmatici di mondo, dalla carne soda della prostituta che si lava alla morte precoce della bambina acrobata. I tetti provenzali come osservatorio per lo scrittore fanno qui la loro prima apparizione. Otto chilometri di vista, fino al pendio collinare aperto sulla Durance, furono molto a lungo il solo orizzonte conosciuto da Giono, viaggiatore della fantasia che partì davvero (per l’Italia) non prima di aver raggiunto l’età matura. L’aveva preparato a lungo, quel viaggio di ritorno alla terra degli avi, alle radici di cui aveva scritto fin dall’inizio. La maniera tutta artigianale di scrivere di Giono, fatta di approfondimento e diversificazione delle tecniche del mestiere, scelta scrupolosa di parole, ritmi, colore e grana dello stile, la concezione del lavoro come mestiere affinabile con l’esercizio quotidiano, la fatica accumulata, gli venivano dalle radici. Il padre, italo-francese anarchico, dreyfusardo "di generosità emorragica", appassionato di Victor Hugo, era calzolaio. La madre, di origine provenzal-piccarda, stiratrice: sono i genitori del ragazzo celeste. Ma della vicenda familiare, artefice e ispiratore è soprattutto il nonno franco-piemontese Pietro Antonio Giono, quasi di sicuro carbonaro, militare e disertore, passato in Francia nel 1831 e ingaggiato nella Legione Straniera (e da allora chiamato Jean-Baptiste Giono), poi capomastro a Marsiglia. Da lui lo scrittore ha tratto ispirazione e materia per l’intera sua opera. Una vita un po’ brumosa, ricca di mistero, il senso stesso della poesia per Giono, poesia in cui devono convivere menzogne e sensualità. Il padre di Jean le Bleu unisce in sé tratti del padre e del nonno di Giono. Parlando delle sue fonti letterarie d’ispirazione, Giono citava sempre Balzac, e poi Jules Romains e Dos Passos. Per due caratteristiche di base: l’innesto nella Storia, e la costruzione architettonica. In un brano del Journal pubblicato da Gallimard nell’ottavo volume delle Œuvres complètes per il centenario della nascita dello scrittore (1995), egli parla della "manipolazione" dei propri materiali: "Allargamento della composizione del libro. Comporre dei ritorni violenti verso il moderno e parallelismo o illuminazione per contrasto. Composizione che permette di rendere il libro moderno e molto nuovo, di struttura, temi e timbro sinfonico. Temi che permettono la critica dei tempi moderni". È la tecnica usata nel 1932 per Jean le Bleu, il cui narratore protagonista apre sprazzi sul proprio presente di adulto passato attraverso l’esperienza della prima guerra mondiale, e sarà molti anni dopo la tecnica della trilogia detta "carbonara" – L’ussaro sul tetto (1951; Guanda, 1995), Alla ricerca della felicità (1957; Guanda, 1996), e Angelo (1958) –, dedicata interamente alla figura del nonno franco-piemontese. C’è una pagina in cui Giono sancisce l’identificazione tra Angelo e il nonno Jean-Baptiste. Pubblicata in un opuscolo intitolato Club nel 1956, in occasione dell’uscita dell’Ussaro per le edizioni del Club du Meilleur Livre, ma scritta parecchi anni prima, a Roquefort, il 21 novembre 1951, la pagina è intitolata Mio nonno modello dell’Ussaro sul tetto. Vi si legge: "Angelo Pardi scappa da Torino e viene in Francia in seguito a un duello politico. Ha ucciso il suo avversario come era stato incaricato dai compagni di partito (carbonari). Mio nonno ha lasciato il Piemonte, all’incirca nello stesso modo. Non aveva le qualità di Angelo, è ovvio (si può anche solo pensare che esistano?) esse sono inventate. Anche il duello è inventato, mio nonno era solo carbonaro, come il padre di Émile Zola che egli venne a ritrovare in Francia. Erano della stessa vendita (è così che venivano chiamati i gruppi di carbonari). Ecco da dove sono venuti Angelo e l’Italia".
recensioni di Bosco, G. L'Indice del 1999, n. 11
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