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"Un mostro strano, triste, sonnolento, canterino", scrive Marina Cvetaeva (1892-1941) a Boris Pasternak nel 1926 per raffigurargli il suo poemetto Molodec (Il prode), una sanguigna e insieme lunare storia vampiresca che, tre anni dopo, a Parigi, la Cvetaeva tradusse in un francese stralunato e pervaso da un ritmo folle: così nacque Le Gars. Una sua amica, la pittrice Natal'ia Goncarova, eseguì i disegni per una edizione che tuttavia, finché la Cvetaeva fu in vita, non vide mai la luce: Le Gars, infatti, fu pubblicato solo nel 1992, cinquanta anni dopo la sua morte.Il poemetto, di cui si presenta qui la prima traduzione italiana con il corredo di alcuni disegni della Goncarova, è ispirato liberamente alla favola di Alexandr Afanas'ev Il vampiro. è la storia, pulsante come una vena, della passione di Marusja per un ragazzo che dietro splendide fattezze cela la sua natura di vampiro. La verità non allontana Marusja che amerà il suo ragazzo fino a morirne e a trasformarsi dapprima in fiore e poi di nuovo in donna ben maritata e ancora lo amerà fino alla scelta finale, il vero lieto fine, il ricongiungimento con la sua passione: l'anima calda russa soffia contro il gelido mito di Orfeo.La voce poetica di Marina Cvetaeva fu apprezzata da poeti quali Rainer Maria Rilke e Boris Pasternak, che la definì "una donna dall'anima mascolina, risoluta, guerriera, indomabile"; eppure per alcuni decenni, in Occidente, a quella voce insieme struggente e tumultuosa non si è più prestato ascolto. Si deve soprattutto a Josif Brodskij, che l'ha indicata al mondo per l'avvenire, se essa non sarà più pallida eco.
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