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Le reali case de' matti nel regno di Napoli - Vittorio D. Catapano - copertina
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Dettagli

1986
1 gennaio 1986
352 p.
9788820714147

Voce della critica


recensione di Caianiello, S., L'Indice 1986, n. 8

Questo libro, che s'avvale dei risultati di una serie di ricerche cominciate da Catapano (direttore dell'Ospedale Psichiatrico di Aversa fino al 1977, data in cui si dimise, come ci avverte la quarta di copertina, "per l'impossibilità di portare avanti un programma assistenziale avanzato") e dai suoi collaboratori nel 1976, non intende soltanto riaprire un importante capitolo della storia della psichiatria italiana, che necessita, come l'autore a più riprese dimostra, di molte rettifiche ed approfondimenti; ma fornire un ritratto "della vita intima dell'istituzione attraverso i 'documenti' del tempo". La scelta metodologica, chiara e consapevole, conduce a privilegiare le fonti più dirette e meno ovvie; come da una voce fuori campo, il tempo del discorso è scandito dalle voci quotidiane dei carteggi fra la direzione della Casa e il ministero dell'interno, di cui è alle dipendenze dirette, dalle infinite diatribe dei molteplici giochi di interessi, dalle vicende apparentemente più irrisorie.
Nata ad Aversa nel 1813, con Gioacchino Murat, e salvata nel 1815 dalla politica di "amalgama" della restaurazione borbonica, la Casa de' Matti diventa presto il Celebre Stabilimento de' Folli del Regno di Napoli, e acquista risonanza europea. Fino al 1824, anno in cui viene posto in esecuzione il progetto della Casa di Palermo, molteplicemente ispirato a quella di Aversa, è l'unico ospedale per i "matti" delle due Sicilie. "Il pregio principale della Casa di Aversa" appare essere, agli osservatori italiani e stranieri, l'impiego prevalente della cura morale rispetto a quella fisica. La cura morale si fonda, tra l'altro, sull'idea dell'esistenza di un contagio morale, cui si deve ovviare con cautele logistiche e organizzative; e sull'ideale terapeutico di una seconda nuova educazione morale del matto, o meglio delle sue facoltà sane, allo scopo di così di "riordinare le pervertite facoltà cerebrali" (p. 211). "La pazzia non è che una passione invincibile" dichiara Linguiti, primo direttore della Casa; e le attività per distrarre da essa vengono moltiplicate, nell'esercizio della musica, della danza, delle attività teatrali ed infine con l'istituzione di una officina tipografica che pubblicherà, nel 1843, il primo periodico a livello nazionale di psichiatria, il "Giornale medico-storico-statistico" dovuto a Biagio Miraglia. Ma il lungo e centrale capitolo su " Le cure " mostra, nella dettagliata ricostruzione dei dibattiti scientifici, la storia della terapia e delle sue tecniche rivelandone le molte incertezze e contraddittorietà; la trama dei rapporti con il ministero rivela i molti dissapori e guasti spesso incentrati su problemi di autorità se non addirittura di controllo politico, come nel problema dell'assistenza religiosa agli "alunni". Alla stratigrafia accurata e implacabile, ricca di frequenti spunti sociologici, segue una diagnosi non meno rigorosa e radicale: "Il tratto fondamentale che emerge è l'incapacità - o meglio l'impossibilità - dell'istituzione a 'correggere' se stessa" (p. 346). Dalle sue insufficienze strutturali nascono le case di cura private e vengono poste le premesse alla genesi di una istituzione riservata ai folli criminali. Dal suo difetto di origine di isolare il malato dal suo ambiente ha inizio la storia dell'inveterato allontanamento della coscienza civile del problema della malattia, la sua astrazione, cui solo un'eliminazione di questa istituzione inefficace potrà ovviare.

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