La realtà potrebbe essere smisuratamente più vasta di quanto non abbiamo mai immaginato: questa l'impressione generale che si ricava dalla lettura di La realtà nascosta, l'ultimo libro del fisico americano Brian Greene. Già assurto a fama planetaria con i fortunati saggi divulgativi L'universo elegante (Einaudi, 2000; cfr. "L'Indice", 2001, n. 4) e La trama del cosmo (Einaudi, 2004; cfr. "L'Indice", 2005, n. 4), dedicati a iniziare un pubblico generico alla teoria delle stringhe, Greene trascina il lettore in un vertiginoso climax speculativo attraverso le più avanzate frontiere della fisica teorica, accompagnato dalle note di un leitmotiv ricorrente: il tema della molteplicità degli universi. Dalle teorie più consolidate e verificate alle più traballanti e malcerte, si fa largo, per vie molto diverse ma prepotentemente e inesorabilmente, l'idea che l'universo a noi accessibile non sia che un frammento di un multiverso infinitamente più grande e, forse, sfaccettato. Dopo una brevissima introduzione, nel secondo capitolo Greene si basa sull'attuale, assodato paradigma della cosmologia fisica per affrontare una questione che rammenta le speculazioni di Giordano Bruno, quella dell'infinità dello spazio e della sua inevitabile conseguenza: l'esistenza di infinite galassie e pianeti arbitrariamente simili a quelli in cui viviamo. Nel terzo capitolo è spiegata la teoria della inflazione eterna (una plausibile variante della teoria cosmologica standard) secondo la quale in un mare di spazio in impetuosa espansione (detta inflazione) gemmerebbero infinite "bolle", regioni spaziali il cui allargamento subirebbe un drastico rallentamento: ciascuna di esse sarebbe un universo a sé stante, simile al nostro, ma forse caratterizzato da valori diversi dalle costanti fisiche fondamentali. I capitoli dal quarto al sesto affrontano il tema del multiverso nel quadro della teoria delle stringhe (a oggi, del tutto congetturale). Secondo la versione più corrente della teoria, il nostro universo si distenderebbe su una membrana tridimensionale fluttuante in uno spazio di dimensione molto più alta, tanto capace da ospitare, potenzialmente, un gran numero di altre membrane, libere di ondeggiare senza pericolo di lambire la nostra: veri e propri universi paralleli. L'ardita combinazione della teoria delle stringhe e della cosmologia inflazionaria dà adito a un'idea radicale: se la teoria delle stringhe ammette una sconfinata varietà di forme dello spazio, esse potrebbero realizzarsi tutte, ciascuna in una delle infinite bolle predette dall'inflazione. Nell'ottavo capitolo è riportata un'interpretazione eterodossa della meccanica quantistica, secondo cui eventi mutuamente esclusivi si verificherebbero simultaneamente in universi paralleli. Il nono capitolo è dedicato al principio olografico, un'ipotesi promettente secondo cui ciò che accade all'interno di una regione spaziale può essere letto come il riflesso di eventi che occorrono sulla superficie che lo racchiude. Il decimo capitolo, il più selvaggiamente speculativo, si cimenta con la possibilità che una civiltà estremamente avanzata arrivi a simulare al calcolatore nientemeno che interi universi; e, a seguire, con l'eventualità che la realtà che osserviamo sia essa stessa l'esito di una siffatta simulazione. In questo percorso a tratti sconcertante viene naturale domandarsi se nel lasciarsi guidare dalle equazioni matematiche fino a postulare l'esistenza di segmenti non osservabili della realtà non si trasgrediscano le regole usuali del metodo scientifico: la logica della scoperta scientifica vorrebbe un constante raffronto tra la teoria e i dati empirici. Il settimo capitolo ospita proprio una digressione su questo tema: Greene discute lo statuto epistemologico del multiverso, senza eccessive preoccupazioni filosofiche ma con onestà di scienziato. Si fa promotore di una scienza estesa, libera di immaginare realtà nascoste all'osservazione, qualora lo richieda la coerenza interna di teorie matematiche per altri versi verificabili, e soprattutto qualora le entità invisibili contribuiscano a un'interpretazione più semplice, più chiara, più economica dei dati osservativi; insomma, qualora servano a spiegare. Per esempio, a spiegare perché l'universo è come è, e non diversamente: in questo senso, uno degli argomenti più convincenti a favore del multiverso è l'idea che se il nostro universo appare compatibile con lo sviluppo della vita intelligente, non è per una predilezione cosmica nei nostri confronti, ma perché nell'infinita varietà degli universi diventa probabile che ve ne siano almeno alcuni vagamente ospitali. Molti scienziati, comunque, rimangono ancora titubanti di fronte all'idea del multiverso: come l'autore giustamente riconosce, in gioco è la vera e propria anima della scienza. A prevalere, nel libro e forse nella fisica teorica moderna, è l'anima platonica di Galileo, a scapito di quella empirista di Bacone. Il saggio è tutt'altro che snello (quattrocento pagine) e, in molti passi, piuttosto difficile: nonostante la caparbietà dell'autore nel provare a spiegare con ottime metafore e immagini anche le più arcane teorie, il lettore digiuno di fisica farà una certa fatica a seguire le spiegazioni. Adeguatamente ricompensato, però, dal fascino della lettura. Michele Allegra
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