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Nei suoi ultimi anni Olindo Malagodi (1870-1934) giornalista a lungo direttore di "La Tribuna" elevato al laticlavio nel 1921 noto anche per essere stato l'estensore delle memorie di Giolitti aveva cominciato a scrivere un libro a metà fra la ricostruzione storica e la rievocazione memorialistica che doveva descrivere il passaggio dal regime liberale al fascismo. Per quanto il manoscritto sia rimasto largamente incompiuto (l'autore aveva portato a termine solo l'introduzione e i primi tre capitoli) e sino a oggi inedito la sua pubblicazione non si riduce a un'operazione antiquaria ma presenta un documento di notevole interesse storico che testimonia la consapevolezza delle classi dirigenti circa la cosiddetta "Italietta". Prima che come diagnosi lucida del fascismo il testo di Malagodi si segnala infatti come una sorta di esame di coscienza sull'età liberale. L'autore ripensa cioè l'esperienza del sessantennio unitario mettendo l'accento non tanto sui meriti quanto sulle insufficienze sociali e politiche che lo avevano caratterizzato. A monte stava una sostanziale debolezza del tessuto civile del giovane Regno d'Italia ancora largamente arretrato. A questo corrispondeva una vita pubblica poco ariosa. Il sistema politico si presentava come un regime volonterosamente ma imperfettamente parlamentare dove le diverse maggioranze erano consorterie raccolte attorno a una personalità eminente. In sostanza una sorta di dittatura personale per quanto rispettosa delle libertà. La qual cosa era il sintomo della gracilità dello stato. La Grande guerra apriva poi una crisi gravissima nella quale si inseriva il fascismo che Malagodi individuava come un regime reazionario ma capace di mobilitare gli scontenti e gli spostati e che puntava a riassorbire in ambito nazionalistico le correnti socialiste.
Maurizio Griffo
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