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Ecco una favola medievale divertente ed istruttiva in cui l'autore può ben mostrare la sua vena paradossale ed ironica. E' davvero, come dice Lanuzza nella prefazione, un "racconto metastorico", e di esso è protagonista un re mediocre, "nano nel corpo e nell'anima", circondato da una corte a lui adeguata, che forma "un tragicomico grottesco teatrino dei pupi". Nessun riferimento, per carità (diciamo noi), all'ultimo ventennio che abbiamo attraversato né al ben più famoso (almeno finora) ventennio di fascistica memoria: certo è, però, che qualche somiglianza un forzitalioto o popolanodellalibertà dovrebbe pure trovarla, non fosse altro che per il servilismo biecamente opportunista da cui l'in verità poco regale sire appare continuamente circondato; e, magari, per la bella trovata, volta, come si dice, a fare cassa, che è la "tassa sui sogni", metafora di una dipendenza dal mezzo televisivo che tutti conoscono, ma che tutti continuano imperterriti a subire. Tornando alla narrativa, immersi come siamo sino al collo in un post-moderno nel quale, intrappolati da un bel po', ci agitiamo senza speranza come nelle sabbie mobili, sprofondando sempre di più, ogni tanto ci viene offerta la possibilità, come in questo caso, di poter gustare pietanze moderne in una sapida salsa antica o, per restare nella metafora, di poter vedere sfilare sotto i nostri occhi i famosi cavalieri della tavola rotonda trasformati in cavalieri della tavola imbandita. Ma poiché ogni storia ha il suo succo, dopo il divertimento resta sotto i nostri occhi la caoticità del reale che un disincantato Pirrera propone al lettore eventualmente ancora convinto che la storia sia maestra di vita. Rimane il fascino di questa scrittura, così lontana dai canoni epici ai quali dovrebbe ispirarsi, sempre sciolta e vivace, beffarda e canzonatoria nei riguardi di un mondo che (qui sta il bello) non è poi così lontano da quello medievale.
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