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scheda di Longhi, M., L'Indice 1995, n.10
Dopo l'accusa di aver coltivato un "progetto autonomista", e quindi di essersi addirittura imposta alle altre scienze sociali secondo un vero e proprio "imperialismo" teorico, da qualche anno la scienza economica sta riflettendo sui rapporti che intrattiene con altre discipline di contatto. Il volume si colloca all'interno di questa riflessione, recuperando gli atti di un convegno organizzato a Urbino nel 1993, dal titolo "Economia e...", nel quale fu chiesto a una serie di economisti di tracciare i confini che separano la "scienza triste" dalla filosofia (Zamagni), dalla politica (Grillo), dalla storia (Tattara), dalla matematica (Rustichini), dalla fisica (Vercelli), dalla statistica (Ardeni), dalla sociologia (Salvati), dal diritto (Pagano), dall'organizzazione (Egidi e Messori), dall'economia aziendale (Silva) e dalle scienze ambientali (Musu): una carrellata che non puntasse tanto alla divulgazione ma alla puntuale e critica delineazione del ruolo dell'economia nella cultura contemporanea. È mai possibile che la disciplina che studia i problemi di scelta razionale e di coordinamento delle scelte individuali in condizioni di scarsità, centrata dunque sulle nozioni di razionalità e di equilibrio, abbia egemonizzato e, per alcuni aspetti, colonizzato gli altri campi del sapere? Nel rispondere a questo interrogativo gli interventi si presentano tutti molto densi, sia quando analizzano i contenuti delle diverse "relazioni pericolose", sia quando ne raccontano l'evoluzione. Sembra che si sia raggiunto un punto di crisi, nel senso che ci si comincia ad accorgere, tra gli economisti, che non esiste una vera autosufficienza teorica ma, anzi, che il termine dopo i punti di sospensione è necessario per qualificare e dare sostanza alla scienza economica in quanto tale. Dall'imperialismo si è così giunti al bisogno di un rapporto di reciproca influenza e fecondazione, come d'altronde dimostra la competenza esibita da tutti gli autori nei loro sconfinamenti. Molto bene, allora, dire con Reale che "si tratterà... di camminare insieme; senza ignorarsi e senza confondersi, nemmeno quando i problemi si sovrappongono", ma qualche riflessione sulla verità di questo reciproco sostegno bisognerà pur farla se, come accade di leggere, i non-economisti professano molto spesso, più o meno esplicitamente, la loro ignoranza delle cose economiche (con buona pace dell'imperialismo). In effetti i commenti (curati da esperti delle diverse discipline considerate), ponendosi molto spesso in opportuna tensione con gli inquadramenti proposti dagli economisti, ne forniscono una piacevole chiave di lettura. Tuttavia l'impressione che si ricava scorrendoli in successione è che i presunti partner intellettuali dell'economia abbiano ancora poco da portarle in dote. Come a dire: se anche all'economia serve uscire dal suo "nirvana" e aprirsi allo scambio con le altre discipline, non sarà però ancora lei stessa a stabilire le regole e i confini del confronto? Il pericolo delle 'combines' - insegna Choderlos de Laclos - è reale.
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