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Quest'opera mi è risultata particolarmente impegnativa per la sua densità concettuale. Per certi versi appare come uno sviluppo della Ragion pratica, e cioè una Fede costituita dai tre postulati della legge morale, fatto della ragione pura nel suo uso pratico (la libertà, l'immortalità dell'anima e l'esistenza di Dio garante del Sommo Bene), ma già il primo saggio, dei quattro dell'opera, ci presenta un concetto sbalorditivo: il male radicale. L'uomo in virtù della legge morale è noumenicamente libero, ma questa libertà può aderire come non aderire alla legge morale e se non aderisce sceglie il male e lo sceglie perché è libera. Più in in là Kant non va, e fa bene, perché si tratta del noumenico, ove la categoria di causa vale solo nel fenomenico. Ciò significa che il male è abissale, senza fondamento, uno spunto fondamentale che darà molto da meditare al Schelling della libertà e e della filosofia negativa e positiva. Per vincere il male radicale non occorre altro che la nostra volontà, sempre nella sua libertà, aderisca alla legge morale nell'unico sentimento di rispetto per la legge medesima, qui intesa anche come legge divina. La religione naturale è dunque una religione morale razionale che può benissimo essere integrata con la religione rivelata del Cristianesimo. Kant cerca nei minimi termini di fare pure una breve storia dell'Ebraismo e del Cristianesimo con tutti i suoi suoi misfatti, e ravvede solo in Cristo, schema dell'Uomo morale, l'idea dell'uomo nuovo a cui si deve tendere all'infinito. Il Cristo storico è irrilevante così come la S.S. Trinità non à altro che l'insieme delle tre relazioni distinte nei confronti dell'uomo: legge, grazia e giustizia. Il teologo biblico è essenziale per una religione cristiana dotta, competente nella Scrittura, ma solo come mezzo per la religione morale. Solo così è possibile una chiesa invisibile, di cui quella fenomenica ammette il battesimo, la preghiera, la comunione. Dalla Virtù alla Grazia, non viceversa.
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