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Non sono poche le sorprese che la biografia leopardiana può ancora riservare, soprattutto grazie alle ricerche di studiosi che ne esaminano aspetti sinora considerati secondari. È il caso di quelle di Pantaleo Palmieri, già autore di due volumi incentrati in parte o interamente su Leopardi (Occasioni romagnole, 1994; Leopardi. La lingua degli affetti e altri studi, 2003) e ora autore di nuove ricerche raccolte nel suo Restauri leopardiani e in buona parte ispirate dall'edizione dell'Epistolario, uscita da Bollati Boringhieri nel 1998 per le cure del compianto Franco Brioschi e di Patrizia Landi.
Formatosi alla scuola di Mario Marti (che firma l'introduzione del nuovo volume) e di Raffaele R. Spongano, Palmieri ha saputo coniugare la curiositas dell'indagine minuziosa ed erudita con l'ironia di chi guarda alla sua indagine come a un tassello di un mosaico infinito: lo dimostrano le citazioni poste in esergo dei vari studi, che spaziano tra il serio e l'umoristico (come quelle a p. 13, che partono dallo Zibaldone e arrivano a una massima di Paul Valéry "Non è possibile ubriacarsi, non è possibile saziare la propria sete con le etichette delle bottiglie" , la cui valenza viene poi spiegata proprio in chiusura del saggio iniziale). Espliciti sono i modelli di Palmieri: da Sebastiano Timpanaro a Carlo Dionisotti, da Augusto Campana agli altri studiosi che hanno ricostruito aspetti della cultura e dei contatti intellettuali di Leopardi in varie fasi della sua vita.
In questo volume, come in parte già nei precedenti, vengono approfonditi quelli che riguardano la scuola classica romagnola, che più esattamente andrebbe definita emiliano romagnola e marchigiana: si tratta di autori che proponevano un classicismo meno sperimentale di quello leopardiano, ma con i quali, a cominciare dal capofila Dionigi Strocchi, il giovane Giacomo era o voleva entrare in contatto, salvo poi essere oggetto anche di critiche quando il potente avallo di Pietro Giordani alle sue prime opere suscitò forme d'invidia. Palmieri ricostruisce qui i rapporti di Leopardi con interlocutori o semplici conoscenti poco o non troppo noti (dai vari Cardinali a Michele Rosa, da Nicola Gommi a Eduardo Fabbri e Melchiorre Missirini), oppure quelli con personaggi minori ma significativi del suo epistolario, come l'amica d'infanzia Clelia Maestri ("Clelietta").
Significative poi le aggiunte a carteggi già ben sondati, come quello con Pietro Colletta, per il quale, come per tante altre acquisizioni, Palmieri ha trovato nuovi documenti nei fondi della preziosa autografoteca Piancastelli di Forlì. Lo studio più ampio dell'intera raccolta è quello di apertura, dedicato a una figura molto interessante nell'ambito della cultura italiana dell'Ottocento, quella di Caterina Franceschi Ferrucci, "donna di singolare finezza d'ingegno e d'animo" secondo Timpanaro. Franceschi è una sostenitrice del classicismo, e si accosta ai personaggi più autorevoli del movimento, fra l'altro intervenendo sulle polemiche con i romantici: peraltro, riconosce il valore dei Canti, che legge nell'edizione fiorentina Piatti, e scrive al poeta una missiva molto elogiativa il 20 settembre 1831, alla quale lui risponde il 18 ottobre. Da questo spunto Palmieri parte per ricostruire un ampio quadro di frequentazioni e di amicizie comuni fra i due corrispondenti: Leopardi viene così ancor meglio inserito nella società culturale che, sia pure a volte con distacco, frequentava e dalla quale, spesso, veniva apprezzato sinceramente.
Alberto Casadei
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