L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
Nonostante il titolo ammiccante, che sembra piuttosto riferirsi a un manuale sulle pratiche di restauro o al relativo "modello italiano", il volume affronta, con dovizia di particolari e con rigore storico, un argomento più circoscritto ma essenziale delle vicende culturali e della tutela del nostro patrimonio artistico: la storia dell'Istituto centrale del restauro, dalla sua fondazione a oggi.
Caterina Bon Valsassina, che dell'Istituto è l'attuale direttrice, ha condotto un'indagine meritoria che si basa sull'importante e inedita documentazione di archivio (in parte ordinata in appendice), colmando così numerose lacune e soffermandosi su aspetti finora mai affrontati, come il susseguirsi lungo gli anni dei disegni legislativi, degli ordinamenti e delle diverse piante organiche, oppure il problema della formazione e composizione di quel "gruppo creativo" in grado di far dialogare culture diverse e spesso contrastanti (discipline storiche, scientifiche, filosofiche, competenze tecniche e saperi artigianali). Nel compiere questa ricostruzione, l'autrice non si è lasciata distrarre dai molti "miti" che circondano l'Istituto, ormai vicino a festeggiare i settant'anni; era infatti il luglio 1938 quando Giulio Carlo Argan lanciò, al Convegno dei soprintendenti, il progetto di un Gabinetto centrale del restauro, che fu affidato poco dopo alla direzione di Cesare Brandi; per non cadere nel riepilogo del già noto, Caterina Bon ha evitato di soffermarsi troppo sui contenuti della teoria brandiana del restauro o sulle sempre più complesse e articolate tecniche di conservazione del patrimonio: la narrazione risulta così molto asciutta, perfino scarna nei contenuti teorici, e va quindi seguita tenendo d'occhio la vastissima bibliografia che si è sedimentata intorno a questi argomenti. Alla fine il libro fa emergere e argomenta con precisione quanto viene giustamente ribadito da tempo: le ragioni per cui l'Icr costituisce uno dei massimi "centri di eccellenza" italiani, un luogo di elaborazione di competenze, metodi e strumenti che sono esportati in tutto il mondo, e che, in questo senso, ne fanno un vero e proprio marchio del made in Italy.
La ricostruzione inizia dedicando ampio spazio alla fase fondativa e alla ventennale direzione brandiana, portata avanti con tenacia proprio a ridosso delle distruzioni belliche, argomenti che sono stati oggetto di alcuni approfondimenti, ma che ora possiamo seguire passo passo, dirimendo l'apporto concettuale e insieme organizzativo di Argan, Longhi, Brandi e il peso della volontà politica del ministro Bottai. Non meno importanti sono i capitoli successivi, in particolare quello che si sofferma sull'opera, rimasta finora quasi del tutto dimenticata, del successore di Brandi alla direzione, Pasquale Rotondi, che resse l'Istituto dal 1961 al 1973. Una sorte più contrastata l'ha avuta l'opera di Giovanni Urbani, affrontata nel terzo capitolo; Urbani diresse l'Icr per un decennio e rimase in carica fino alle polemiche dimissioni nel 1983: i suoi progetti, basati sul decentramento e sulla conservazione programmata, gli provocarono isolamento e amarezze, ma sono oggi considerati la punta più avanzata della tutela del patrimonio culturale e del territorio.
Il volume si chiude con un rapido excursus sulla storia dell'Istituto negli anni ottanta e novanta per arrivare infine a qualche proposta sul suo futuro: se la necessità di riunificare le due sedi romane tra loro lontane mette tutti d'accordo, non può dirsi altrettanto della seconda proposta, che ha suscitato e continuerà a suscitare numerose polemiche, cioè il progetto di accorpare in un nuovo Istituto superiore per il restauro i vari istituti di conservazione che afferiscono al ministero per i Beni e le Attività Culturali (oltre l'Icr di Roma, l'Opificio delle pietre dure di Firenze, l'Istituto centrale per la patologia del libro, il Centro per la fotoriproduzione, legatoria e restauro). La proposta deve essere vagliata con attenzione, senza pregiudizi e difese corporative, tuttavia ci sembra che in questo momento, di fronte ai veri problemi del ministero (lo svilimento delle soprintendenze, l'età avanzata del personale tecnico-scientifico, la progressiva burocratizzazione e dequalificazione degli organici, ecc.), l'accorpamento degli istituti centrali possa portare a un loro indebolimento piuttosto che a un vero potenziamento delle finalità operative, di indirizzo, di ricerca e di formazione, che erano e devono rimanere elementi caratterizzanti dei nostri centri di eccellenza.
Claudio Gamba
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore