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Quest’opera prima, che raccoglie una selezione di sessanta liriche dell’autrice, rappresenta un’idea altra della poesia, fuori dagli usurati schemi dei ‘poeti cuochi professionisti’ che amano combinare gli ingredienti/parole consacrate e riconosciute dalla sin troppo vasta comunità degli operatori e dei fruitori – oramai quasi coincidenti –, della poesia contemporanea, perlopiù cultori ascrivibili alle due categorie estreme della poesia-scontata e della poesia-rebus. La poesia della Marchesiello colpisce per l’autenticità del canto e per la pregnanza di significato, per il ricorso mai banale alle allegorie, per i traslati, per la musicalità ‘naturaliter’ del suo dire, per la nostalgia della bellezza, della vita, che si sciolgono in un persistente stato di ‘fado’, di malinconia per una separazione, una lontananza, una privazione, per l’irrisolvibile consapevolezza della finitudine. Dei tre elementi ricorrenti nella sua poesia (il ricordo, la bellezza, la morte), gli ultimi due sono stati ampiamente e opportunamente evidenziati e accostati fra loro da Giuseppe Cerbino nella sua prefazione a questo volume: «Nasciamo per morire e moriamo per il fatto di essere nati e in tutto ciò non dobbiamo cogliere la desolazione ma la bellezza e il fascino della vita. Niente di più potente di ciò che sembra misero». Ma il primo elemento, quello del ricordo, rappresenta senza dubbio, a mio avviso, il ‘file rouge’ non solo del dire poetico della Marchesiello ma anche la genesi di ogni suo componimento, ciò che muove e giustifica la sua urgenza di scrittura: «Sai, io ho sempre dentro gli occhi chiusi,/ e poco in bocca aperta,/ qualcosa o qualcuno da ricordare.»; «Nostalgia, bambina, ti ho spiegato/ così si chiama,/ questa umana transumanza/ che fa pascolare in ogni vena/ la dolce pena di non andare avanti/ ma solo restare, ma solo tornare,...»; «Ricordo bene ogni inizio,/ ogni sua accurata gestione della pausa/ poco prima della nascita.» Un libro da leggere e da consigliare.
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