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La Retorica. Divisa in sette libri dove si contiene tutto quello, che appartiene all'arte oratoria. Con le postille di M. Pio Portinaio Giureconsulto, che dimostrano sommariamente tutto quello, che vi si tratta. Et con la tavola de i capi principali - Bartolomeo Cavalcanti - copertina
La Retorica. Divisa in sette libri dove si contiene tutto quello, che appartiene all'arte oratoria. Con le postille di M. Pio Portinaio Giureconsulto, che dimostrano sommariamente tutto quello, che vi si tratta. Et con la tavola de i capi principali - Bartolomeo Cavalcanti - copertina
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La Retorica. Divisa in sette libri dove si contiene tutto quello, che appartiene all'arte oratoria. Con le postille di M. Pio Portinaio Giureconsulto, che dimostrano sommariamente tutto quello, che vi si tratta. Et con la tavola de i capi principali
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Descrizione


In-4° (214x150mm), pp. (16), 563, legatura settecentesca p. pelle con i piatti bordati da duplice filetto perimetrale in oro, titolo, filetti e fregi ornamentali in oro entro scomparti su dorso a nervetti. Impresa tipografica al titolo incisa in xilografia con un re con scettro e corona assiso in trono entro una cornice figurata sormontata da cartiglio con motto "Omnibus idem". Testatine e capilettera istoriati su legno, indice preliminare e dedicatorie. Sparsi aloni e bruniture, restauri al verso del frontespizio e al dorso. Discreta copia nell'insieme.Reimpressione veneziana di quello che, a detta del Gamba, è il primo trattato di retorica apparso in volgare, destinato ad ampia fortuna nel secondo Cinquecento italiano e consistente in una codificazione dei principi retorici secondo un'applicazione piuttosto rigida dei principi aristotelici. "A Careful and critical exposition of the classical rules of rhetoric, directed at those with insufficient time or learning to study Aristotle or the Latin rhetoricians for themselves" (Conor Fahy, Modern Language Review, 1969, pp. 188-189). ".. La Retorica, l’opera più rilevante dell’intellettuale fiorentino se non altro per il lungo periodo della sua elaborazione.. Il problema dell’identificazione fra dialettica e retorica era stato un tema fortemente dibattuto dalla filologia del secolo precedente, fino a trovare nell’ultimo Poliziano una soluzione in sede estetica. Ora, mentre il Cavalcanti si mantiene lontano da ogni considerazione sulla poesia (ciò che, rettamente, gli fa espungere una concezione della retorica come ornamento dei versi, distinguendosi per questo dai contemporanei trattatisti di ambiente veneto), mutua poi dalla letteratura quella sintesi che dovrebbe essere appannaggio dell’oratore, dell’esperto nei pubblici negozi e che viene pertanto a configurarsi come una capacità civile, praticabile e suscettibile di un insegnamento. Per cui non solo la retorica aristotelica e la Rhetorica ad Alexandrum, ma “i libri di Tullio, e alcuni di Quintiliano ed Ermogene con qualcun altro” avrebbero dovuto concorrere alla dottrina del politico e del diplomatico, formando l'armatura di quella logica discorsiva, mai esperita nel campo del volgare, che deve convincere o dissuadere dall’azione. Sotto questo aspetto anche la Retorica, che si pone in un contesto culturale delineato dalla traduzione dell’opera aristotelica compiuta da Ermolao Barbaro (edita nel 1544 con un commento di Daniello Barbaro) e quella eseguita da Bernardo Segni (il quale – confessava il Cavalcanti a Vettori – “crede... di potermi offendere con la sua traduzione”), riflette la sostanziale ambiguità di intenti che si rivelano alla base delle volgarizzazioni da Polibio, configurandosi essenzialmente come una propedeutica letteraria all’azione, un estremo e improbabile tentativo di “discorso” sugli avvenimenti che le travagliate vicende dell’autore allontanavano di giorno in giorno dalla sua esperienza. La parabola politico-letteraria del Cavalcanti può essere interpretata come la crisi del machiavellismo, maturata in un clima di crescente, e talvolta confessata, sfiducia in quella pratica filologica che, riscoprendo il volto del passato, garantiva l’autorità e la scienza del ricercatore" (Claudio Mutini in D.B.I., XXII, 1979). Il Cavalcanti (Firenze, 1503-Padova, 1562), dell'illustre famiglia fiorentina che dette i natali a Guido, scrittore politico e di arte oratoria, fu di sentimenti antimedicei ed esulò volontariamente a Padova dopo l'ascesa al reggimento di Firenze di Cosimo de'Medici. E' oggi ricordato eminentemente per questa "Retorica", vergata in elegante dettato fiorentino che la fece annoverare tra i testi di lingua dalla Crusca. Fu intimo amico del Berni, che gli dedicò un suo capitolo in versi, e compose, ancora, i Trattati ovvero Discorsi sopra gli ottimi reggimenti delle repubbliche antiche e moderne, in cui tentò una summa di pensiero politico che coniugasse insieme Aristotele, Platone e Polibio.Adams, C-1177. Gamba,1307. Razzolini, 105. Haym 487. Brunet, I, 1695. Graesse, II, 91. STC Italian Books, p. 162.
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Dettagli

1569
(16)- 563 p.
  • Prodotto usato
  • Condizioni: Usato - In buone condizioni
2560020185463

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(Firenze 1503-62) uomo politico e letterato italiano. Avversario dei Medici, lasciò Firenze dopo l’ascesa del duca Alessandro (1530). Nei Trattati ovvero discorsi sopra gli ottimi reggimenti delle repubbliche antiche e moderne (1555) volle conciliare le idee politiche di Aristotele, Platone e Polibio. La sua opera principale è però la Retorica (1559), una codificazione dell’oratoria secondo i precetti aristotelici.

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