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Riconoscere è un dio. Scene e temi del riconoscimento nella letteratura
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Riconoscere è un dio. Scene e temi del riconoscimento nella letteratura - Piero Boitani - copertina
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Riconoscere è un dio. Scene e temi del riconoscimento nella letteratura

Descrizione


Il riconoscimento - l'agnizione dei latini, l'anagnorisis dei greci - è uno dei più grandi scandali della letteratura: ha luogo nell'azione drammatica, nel romanzo, nell'opera, nel cinema, e spesso scrittori maggiori e minori ne hanno fatto uso strumentale all'unico scopo di portare a conclusione la propria opera. È anche, però, un elemento centrale, come già rilevava Aristotele, della tragedia e della narrazione complessa, perché mette in scena l'affiorare della conoscenza: non in un processo teorico astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell'intelligenza, degli esseri umani. Questo libro esplora le scene e i temi del riconoscimento dalla letteratura antica a quella medievale e moderna: da Omero e dalla sua Odissea all'Antico e al Nuovo Testamento; da Eschilo, Euripide e Sofocle a Shakespeare, da Dante a T. S. Eliot; dal "Conte di Montecristo" di Dumas al "Giobbe" di Roth, dal "Giuseppe e i suoi fratelli" di Mann all'"Ulisse" di Joyce. In ogni capitolo a un testo antico fa riscontro una serie di testi moderni, mentre la teoria del riconoscimento segue il percorso parallelo da Platone e Aristotele ai Padri della Chiesa e a Freud. Riconoscere, dice Euripide, è un dio: il deflagrare della conoscenza tra persone che si amano, o si odiano, possiede la forza, la sublimità, l'ilarità che per pochi attimi ci fa provare la vertigine del divino.
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Dettagli

2014
2 settembre 2014
XI-474 p., Rilegato
9788806175351

Voce della critica

  Esistono, nell'immaginario antico, figure paradigmatiche di eroi (civilizzatori o distruttori) che esibiscono storie comuni. I nomi sono noti: in Grecia Eracle e Teseo (sua controfigura ateniese), Achille e Telefo, Perseo, Giasone, Sisifo e Edipo; altrove hanno saghe parallele Paride, Ciro in Persia, Mosè in Egitto; più tardi, a sorpresa, avrà leggenda analoga papa Gregorio Magno. Medesime sono le sequenze narrative: presagi di esseri eletti o maledetti fin dal grembo materno, nascite contrastate e perdite di identità, conflitti con figure paterne, faticoso recupero d'identità e diritti, conquista del ruolo sociale di pertinenza e fondazione d'un ordine nuovo. Riproduzioni delle crisi celesti di successione divina (paure dei padri e figli ribelli nella serie Urano-Crono-Zeus) e delle terrene difficoltà d'integrazione sociale (Edipo per tutti), sono racconti che appartengono al patrimonio orale dalla memoria collettiva e riemergono nella scrittura dei grandi generi poetici greci, nell'epica e nella tragedia. Non sorprende che Platone, interessato alla dimensione dialettica della conoscenza, abbia posto la memoria a fondamento d'ogni sapere. Certo, per Platone la poesia, imitazione del mondo sensibile, è lontana dal mondo ideale; ma imitazione e reminiscenza imprimono a gara impronte, negative o positive, di quanto proviene dall'esterno e dal passato. Nella Poetica di Aristotele l'imitazione governa, sì, l'attività dei poeti, ma perde la distanza dal vero e si fa strumento di conoscenza e piacere. Circa le procedure costitutive dell'intreccio (mythos), che si sviluppa nel canto epico e si condensa nella tragedia, Aristotele afferma che il mythos è imitazione di azioni e complessa è l'azione in cui "il mutamento si ha con riconoscimento (anagnórisis) o con peripezia o con tutti e due". Più avanti precisa che "la peripezia è il cambiamento dei fatti nel loro contrario; (…) il riconoscimento è il cambiamento da ignoranza a conoscenza; (…) il più bello si compie insieme alla peripezia, come nel caso di Edipo". In effetti, per Aristotele la tragedia migliore è l'Edipo re di Sofocle (dramma della conoscenza in cui il detective scopre d'essere l'assassino), ma il testo giocato sull'agnizione, scritta e riscritta, è l'Odissea: Ulisse si fa riconoscere dai Feaci perché piange al canto di Demodoco, a Itaca si fa riconoscere da Eumeo e Telemaco, è riconosciuto dal cane Argo e dalla nutrice Euriclea; Penelope riconosce lo sposo da "segni sicuri rivelati da Odisseo" sul talamo; infine Laerte riconosce il figlio dai nomi degli alberi del frutteto, "segni sicuri rivelati da Odisseo". Bene: parliamo dell'Odissea. Una recente traduzione del secondo poema attribuito a Omero (Roma, 2012) si apre con una bella introduzione di Piero Boitani, che ritorna volentieri sulla figura esemplare di Ulisse, già al centro di suoi precedenti contributi sul carattere e la fortuna dell'eroe dal multiforme ingegno. La copiosa produzione del professore di letterature comparate alla "Sapienza" (e negli Atenei di mezzo mondo) comprende le rivisitazioni omeriche che prolungano L'ombra di Ulisse (1992) nel tempo; Sulle orme di Ulisse (2007) si muove anche l'autore, certo che Ulisse rappresenti L'archeologia dell'uomo moderno (così il Convegno da lui curato nel 1998), capace sempre d'inseguire il volo delle Parole alate (2004) da Omero ai nostri giorni, pronto inoltre a chiarire nessi e parallelismi tra Esodi e Odissee (2004), cioè tra i grandi ipotesti della cultura occidentale, tra la Bibbia e i classici greco-latini. Questa lunga familiarità, consolidata da decenni di studi che spaziano dalle letterature antiche all'attività letteraria espressa nelle maggiori lingue moderne (Boitani è anglista di formazione e comparatista d'elezione), fornisce oggi salde fondamenta e aerea struttura a questo nuovo, grande libro edito da Einaudi. Il titolo deriva dal v. 560 dell'Elena di Euripide, versione "innocentista" del mito: Elena non ha seguito Paride a Troia, dove è invece giunto per volontà dei numi un fantasma a lei del tutto simile, ma è rimasta per tutto il tempo della guerra in Egitto, esposta ai desideri di Teoclimeno, re del paese. Durante il lungo e travagliato viaggio di ritorno da Troia, una tempesta fa approdare Menelao sul delta del Nilo: qui avviene il duplice riconoscimento, difficile per entrambi, arduo soprattutto per Menelao, che ha con sé il "doppio" della sposa, la falsa Elena di Troia (destinata a svanire nell'aria rivelando l'inutilità della guerra). Nel rivedere lo sposo Elena invoca gli dèi, "perché è un dio anche riconoscere chi si ama!". Mette forse conto ricordare come il tema del doppio, dai simillimi allo scambio di persona, produca equivoco e falsa conoscenza, sia l'opposto del riconoscimento e ingrediente del teatro comico. Il capolavoro è l'Amphitruo plautino: Giove-Anfitrione giace con Alcmena e Mercurio-Sosia gli fa da guardia-spalle; i due dèi si sostituiscono ai veri Anfitrione e Sosia, che di fronte al loro doppio rischiano di perdere la propria identità. In particolare è Sosia, nome emblematico, a rivivere e contrario le agnizioni di Ulisse (compreso Nemo, Nessuno) e a esclamare: "Dèi immortali, a voi m'appello: dove mi sono perduto?". Ma non sono l'equivoco e la falsa conoscenza dei comici i traguardi a cui tende Boitani, perché il riconoscimento è cosa molto seria. Teorizzato da Aristotele, esso si moltiplica al fine di ripristinare l'ordine nei casi di Ulisse e nella storia di Giuseppe (Genesi 37-50); è al centro di polemica sui segni d'identità nelle Coefore di Eschilo e nelle Elettre di Sofocle ed Euripide; diventa duplice agnizione fraterna nell'euripidea Ifigenia in Tauride; nell'Edipo re sofocleo si fa introspezione e recupero doloroso di verità rimosse; in chiusa del Vangelo di Giovanni vince la morte e rivela il divino. Le soluzioni offerte dal mondo antico sono punti di partenza e modelli di riscrittura per le innumerevoli piste che attraversano la cultura medioevale e moderna. Le scene di riconoscimento si presentano come momenti cruciali della tradizione letteraria occidentale (e non solo); il libro ne fornisce un catalogo che inanella le opere di Chaucer (autore caro a Boitani), i grandi drammi di Shakespeare, Dante e la Terra desolata, il Conte di Montecristo, Il fu Mattia Pascal, Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann e l'Ulisse di Joyce, per finire con la Recherche di Proust. Intercalati alle brillanti analisi dei testi qui citati sta una folla di testi, minori e maggiori, a testimonianza che il tema del riconoscimento si ritrova in opere distanti per genere ed epoca. L'insieme, arco multicolore dalla reminiscenza platonica alle sollecitazioni freudiane del ricordo, ha il grande merito di mostrare in azione i saperi di Piero Boitani, che coglie nella molteplicità dei testi legami, identità e somiglianze. Se dovessi indicare la parte più intensa del libro, pur tra dubbi direi il capitolo VI che dall'Elena di Euripide sale di tono fino a Giobbe di Roth attraverso il IV Vangelo, Il racconto d'inverno di Shakespeare e la poesia di Eliot. Ma il tono alto appartiene a tutto il libro, che sa dissipare laicamente La nube della non-conoscenza, testo mistico di anonimo inglese (XIV sec.) da Boitani tradotto nel 1998.   Gian Franco Gianotti          

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Conosci l'autore

Piero Boitani

Piero Boitani insegna Letterature comparate all’Università La Sapienza di Roma e ha insegnato Lingua e Letteratura Italiana all’Università di Cambridge. Dantista, anglista, studioso del mito, della Bibbia e delle sue riscritture, Boitani svolge anche attività di traduttore. Scrive su “L'indice dei libri del mese”, “La Rivista dei Libri”, “Il Sole 24 Ore”. È stato presidente dell’Associazione italiana di anglistica e della Società europea di studi inglesi (di cui è ora presidente onorario). Ha scritto numerosissimi libri, pubblicati dalla Oxford University Press, dalla Cambridge University Press e il Mulino. Per i "Classici" Feltrinelli ha curato il Cimbelino di Shakespeare (2014).

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