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Descrizione


Negli anni del liberismo, l’autore esprime, in queste pagine di diario intorno alle manovre per la nomina ad un alto incarico di ricerca, dubbi e amarezze nei confronti della ricerca medica internazionale.

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Dettagli

1996
8 novembre 1996
204 p.
9788838912764

Voce della critica


recensione di Vineis, P., L'Indice 1997, n. 3

L'immagine che molta gente ha della ricerca scientifica è estremamente semplificata. Vi sono trasmissioni televisive in cui si raccolgono semplicemente fondi "per la ricerca", senza altre specificazioni; apparentemente a nessuno di coloro che versano cifre anche considerevoli viene in mente di chiedere: "Ma quale ricerca?". "Quale ricerca" è uno dei diversi temi che percorrono l'ultimo libro di Renzo Tomatis, che ha diretto il Centro Internazionale per la Ricerca sul Cancro di Lione dal 1982 al 1993 e ora lavora a Trieste. Questo libro è il più recente capitolo di un lungo diario che Tomatis ha iniziato a scrivere negli anni sessanta con "Il laboratorio" (pubblicato originariamente da Einaudi e tre anni fa ristampato da Sellerio) e proseguito con "La ricerca illimitata" (Feltrinelli, 1971) e "Visto dall'interno" (Garzanti, 1976). Anche quest'ultimo volume, come i precedenti, si presta a diverse letture, poiché mescola considerazioni attinenti al mondo della ricerca con riflessioni politiche, sociali e di carattere personale.
Mi sentirei di sostenere che la principale chiave di lettura è tuttavia quella politica: relativa alla politica della scienza, innanzitutto, ma anche alla politica in senso più vasto. Basti pensare che molte delle considerazioni di "La rielezione" sono intercalate da commenti sulla guerra del Golfo. E i nessi tra le due vicende, la politica ("policy") di un grande organismo internazionale di ricerca sul cancro e la politica ("politics") sottostante alla guerra del Golfo non sono pochi. Innanzitutto la macchina bellica ha costi astronomici, mentre gli stessi governi che la promuovono lesinano pochi milioni di lire all'Istituto di ricerca, che ha fini di grande utilità collettiva. Ma lesinare i soldi è il segno di un'attitudine più profonda e pervasiva, l'idea che prevenire le malattie, scopo che si prefigge l'Istituto, è una meta di scarso interesse e rilevanza, specie se mette in discussione l'economia e il mondo della produzione. Una delle principali attività dell'Istituto, per cui è conosciuto non solo dagli scienziati ma anche dai governi e dalle istituzioni che si occupano di sanità pubblica, è stata la ricerca e la valutazione delle prove sulla cancerogenicità di sostanze chimiche di uso industriale, cui sono esposti dunque operai e comuni cittadini. Alcune di tali attività confliggevano necessariamente con gli interessi dell'industria, e Tomatis ci racconta sia le diverse forme di condizionamento e ingerenza nel lavoro dell'Istituto da parte di interessi costituiti (lasciando chiaramente intuire le collusioni tra industria e potere politico), sia la resistenza opposta da lui personalmente e dal personale dell'Istituto, che per molti anni ha mantenuto un elevato rigore e una rara coesione interna intorno agli obiettivi della prevenzione e della sanità pubblica. Oltre ai condizionamenti diretti dell'industria sulle ricerche di cancerogenesi chimica, non si può negare che si è assistito in questi anni a due fenomeni paralleli: da un lato il crescere - seppure limitato a settori minoritari della società - di una coscienza ambientalista; dall'altro, tuttavia, lo scarso radicamento della ricerca ambientale tra gli scienziati, per molti dei quali essa non rappresenta un'occasione sufficiente di prestigio e potere.
Dunque un primo motivo per cui il libro di Tomatis è utile (e dovrebbe essere letto da chi devolve "alla cieca" soldi per la ricerca) è che fornisce numerose informazioni di prima mano ("dall'interno") sui condizionamenti che la ricerca sul cancro subisce. In un certo senso, conferisce spessore e profondità a una storia - quella della scienza - che spesso viene semplicemente presentata come una successione di idee brillanti, intensa dedizione e colpi di fortuna. La dedizione di Tomatis non è tanto (o non soltanto) quella tradizionale dello scienziato che sta in laboratorio fino a tarda notte per sorvegliare i suoi esperimenti. È piuttosto una consapevolezza più moderna, meno ottocentesca, ma ancora assai poco diffusa: la coscienza che al di sopra del lavoro del singolo c'è un committente, un finanziatore, o comunque un utilizzatore del suo lavoro. In tempi di "mondializzazione" dell'economia e del lavoro intellettuale, lo scienziato che elabora idee originali in uno sperduto laboratorio e in totale indipendenza non esiste più; l'indipendenza è piuttosto un bene raro, da conquistare con la lotta e da conservare preziosamente.
Bisognerebbe discutere più in dettaglio - ma di questo hanno trattato estesamente i precedenti libri di Tomatis - delle diverse interpretazioni che gli scienziati danno del proprio lavoro. Per esempio, per un paio di decenni (negli anni settanta-ottanta) si è affermata l'idea secondo cui accanto alla ricerca di base (volta al disvelamento dei meccanismi molecolari delle malattie) è essenziale il mantenimento di un'attività di sanità pubblica che protegga dalle cause già conosciute di malattia. Una tale attività richiede sforzi e investimenti non molto diversi da quelli della ricerca di base, per esempio per vagliare le prove di cancerogenicità di centinaia di sostanze chimiche, o per sperimentare diverse modalità di prevenzione. Oggi questa tendenza si è rovesciata: il crescente clima di competizione nelle istituzioni di ricerca e l'enfasi ormai quasi esclusiva della politica sugli aspetti economico-finanziari lasciano spesso poco spazio per una scienza finalizzata alla prevenzione.
Ma il pregio del libro è ancora un altro, ed è la capacità di trasmettere queste idee, che io riassumo e semplifico, attraverso l'esperienza diretta di Tomatis e, in particolare, i suoi dubbi e incertezze. Gli atteggiamenti talora "eroici" del protagonista nella sua lotta contro le multinazionali vengono stemperati da un'ironia e da una capacità di autocritica che li rendono più autentici. Leggendo "La rielezione" mi sono venute in mente alcune pagine di Zygmunt Bauman sull'etica, che mi paiono particolarmente calzanti. Per Bauman infatti l'incertezza è il vero fondamento della morale. Quest'ultima è esattamente il contrario delle convenzioni sociali, che rendono la vita confortevole perché consentono di affrontare i rapporti con l'altro secondo schemi prefissati e codificati: "Noi siamo normalmente in grado di conformarci a queste direttive senza dover mai tener conto dell'altra persona, e ancor meno prenderci cura della sua vita". Contrariamente alle convenzioni, che sono rassicuranti in quanto non ambigue, l'etica è ambigua e incerta: "L'io morale è un io sempre tormentato dal sospetto di non essere abbastanza morale". I fondamenti della morale, secondo Bauman, possono essere trovati soltanto ritraendosi da una concezione "ordinata, coerente e logica" della vita. Conosciamo molti casi di autocelebrazione "eroica" (nel mondo della politica, ma anche della scienza), di ricostruzioni a posteriori che sono razionalizzazioni semplificate, poco convincenti e scarsamente utili: pensiamo ad alcuni penosi libri autocelebrativi di premi Nobel. Gli stessi personaggi "venduti all'industria" (disposti cioè a sacrificare il bene della collettività per potere e prestigio personali), concepiscono la loro posizione come un onesto compromesso, oppure, a seconda dei casi, come l'unico comportamento possibile in una società destinata a un progresso tecnologico inesorabile e indiscutibile; oppure, ancora, fanno parte di quella vasta schiera di persone che risolvono i dilemmi ricorrendo alle convenzioni sociali, secondo la descrizione di Bauman (cioè senza porsi tanti problemi).
In realtà,Tomatis pone un interrogativo di fondo che va preso molto sul serio: che cos'è l'etica della ricerca. Se l'etica fosse solamente la deontologia professionale intesa in senso stretto (come la buona pratica dello scienziato di laboratorio), senza vedere - come abitualmente avviene - il condizionamento sociale della ricerca, non ci allontaneremmo dalle convenzioni come automatismo acritico di risposta ai problemi, di cui parla Bauman. Questa non è l'etica. E non lo è neppure una qualche variante dell'utilitarismo: se le preoccupazioni della sanità pubblica partissero sempre da un presupposto utilitaristico - come viene insegnato all'università - probabilmente ci si attesterebbe sempre sulla posizione più arretrata, di minore resistenza. Ne è un esempio quella che anni fa è stata denominata la "filosofia del rischio", che, su una base utilitaristica, pretendeva di fissare livelli accettabili del rischio derivante dall'esposizione a sostanze tossiche. L'accettabilità era definita sulla base di "algoritmi", di estrapolazioni matematiche a partire da conoscenze epidemiologiche e sperimentali molto limitate, e dunque con una forte dose di arbitrarietà. Ma soprattutto, da tale filosofia non veniva (e non viene) considerata la distribuzione del rischio: non tutti, ovviamente, subiscono le stesse esposizioni e nelle stesse dosi. Aderire alla filosofia del rischio accettabile implica pertanto considerare inevitabile l'ineguaglianza sociale di fronte alla malattia, entrando in conflitto con alcuni dei principi di fondo delle costituzioni moderne e con le finalità di un centro come quello di Lione. Ma queste contraddizioni non vengono abitualmente colte; con un atteggiamento piuttosto superficiale, si trova negli algoritmi matematici dell'analisi costi-benefici un comodo compromesso. Al contrario, la sanità pubblica richiede uno sforzo volto al continuo superamento dell'esistente, perché vi sarà sempre qualcuno che sta peggio: pensiamo all'esportazione di sostanze tossiche verso il Terzo mondo. Non si tratta di proporre onorevoli compromessi o ragionevoli mediazioni, ma di puntare a una riduzione o almeno a una limitazione delle diseguaglianze più manifeste. Da questo punto di vista, il lavoro di Tomatis si è distinto in almeno due campi: le pubblicazioni scientifiche sulle relazioni tra cancro e classi sociali, e gli sforzi che ha profuso, come direttore dell'Iarc, per avviare e sostenere la ricerca sull'efficacia della vaccinazione anti-epatite nel Gambia.
Un altro modo non etico di concepire la ricerca medica è di considerarla completamente separata da una finalità di "cura", intesa come miglioramento della qualità della vita delle persone. La ricerca biomedica non è la semplice espressione di una curiosità scientifica, di conoscenza della natura. Essa è intrinsecamente finalizzata, è al confine tra le scienze naturali e le scienze dell'uomo: su questo vi è accordo tra filosofi così diversi come il postpositivista Toulmin e il fenomenologo-esistenzialista Gadamer. Anche su questa speciale caratteristica della medicina, attraverso la vivacità degli esempi personali e i dubbi della coscienza morale, il libro di Tomatis è una lettura indispensabile.


recensione di Tomizza, F., L'Indice 1997, n. 3

Dal lontano "Il laboratorio", che fu un piccolo caso letterario, a questo "La rielezione", che potrebbe ripeterlo, Renzo Tomatis ha sempre trovato nella scrittura riparo, conforto, nuovo slancio alla sua attività di medico, scienziato e dirigente di livello internazionale.La frequente citazione di autori di non usuale abbordaggio, ricorrente nel libro appena uscito, ribadisce la sua ferma se non primaria appartenenza al mondo delle lettere.Tomatis è dunque un autore che non si cerca ma rinviene spontaneamente i suoi soggetti, le figure, i problemi e i sentimenti nella propria realtà lavorativa, la quale trascende l'ambiente letterario italiano richiamandolo a un'ariosa dimensione cosmopolita, a uno spessore di argomenti sociali e politici, al di là di quelli strettamente scientifici, di cui esso è pressoché privo, sì da indurre qualche mosca bianca a denunciarne la mancanza.
Gli svelti capitoletti forniti di titolo del volumetto selleriano, quasi una serie monotematica di racconti a sé stanti, ruotano tutti intorno al Centro Internazionale per la Ricerca sul Cancro nei pressi di Lione, di cui l'autore è stato per lungo tempo il massimo dirigente e come tale doveva occuparsi di un po' di tutto, dall'amministrazione del personale alla ricerca di fondi presso quei paesi già solleciti a sostenerlo: assilli che lo allontanavano sia dalla pura ricerca, sia dalla sua attitudine più recondita.La sua rielezione, che pur presta il titolo al libro, non ne costituisce tuttavia il punto d'arrivo, tant'è vero che la narrazione prosegue ben oltre e alla fine si arguisce che si sta profilando una nuova votazione di conferma, in seguito alla quale il direttore, per proprie dimissioni o per sfiducia dei votanti, lascerà l'incarico limitandosi a saltuarie collaborazioni al Centro.
Del resto a quella prima prova di fiducia egli appare interessato soltanto perché, con obiettività insospettabile, vi vede garantita la sopravvivenza dell'Istituto sentito come propria creatura, e poi perché avrà modo di verificare, ora sì con acre gusto anche romanzesco, quali dei collaboratori sono rimasti fedeli alla comune causa di prodigarsi a favore dell'umanità e quali invece hanno ceduto alle offerte delle società multinazionali messe sotto accusa dal Centro per l'utilizzo di minerali cancerogeni, o si sono lasciati irretire da quegli Stati sempre più propensi a ridurre le erogazioni concordate o a negarle del tutto.
Sicché emerge da questo libro la figura di un uomo consapevole di essere divenuto scomodo, in lotta con se stesso tra una gran voglia di mollare tutto e la caparbietà di proseguire nella solitaria sfida che lo assorbe fino all'autolesionismo.Un maligno, educato alla nostra più recente società, potrebbe anche ravvisare nell'infuocato direttore una persona a doppia faccia: egli non finisce di censurare il carrierismo altrui e intanto freme per la propria rielezione, si affanna a cercar denaro e non si stanca di stigmatizzare l'universale corsa al tornaconto personale.Ma proprio i due opposti fini di una condotta esteriormente analoga, l'altruistico e il personale, dovrebbero aprire gli occhi al lettore non prevenuto e fargli scorgere nell'inflessibile dirigente, preda di sospetti quasi monomaniaci e di curiose idiosincrasie, decisamente impietoso con parecchi subalterni ma soprattutto con se stesso, il fragile e mite Tomatis, personaggio d'altri tempi, d'altri climi, determinato per autentica sete di verità e di giustizia a procedere controvento.
La scrittura, che lo occupa nei momenti di tregua per un bisogno di chiarezza con se stesso, depone ancora e soprattutto a suo favore.Fluente e all'improvviso irta, essa mutua il parlato medioalto e assai preciso di un incallito giramondo, sempre un po' esitante, riflessivo e come smarrito.Scrittore e medico si trovano all'unisono nella decifrazione del volto umano, dove rilassamento e contrazione dei muscoli disegnano o celano inequivocabili sentimenti e stati d'animo.
Poche altre volte mi era capitato, per un non romanzo o un non poema, di provare la gioia di rincasare per riprenderne la lettura.

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La recensione di IBS

Negli anni del liberismo, l'autore esprime, in queste pagine di diario intorno alle manovre per la nomina ad un alto incarico di ricerca, dubbi e amarezze nei confronti della ricerca medica internazionale.

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