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Interessanti alcune considerazioni sul ruolo della sinistra e sulla percezione del danno ambientale come danno sociale a una comunità facente tutt'uno col suo luogo.
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L'eccesso di animali morti i primi casi di strane macchie rosse sulla pelle soprattutto nei più giovani (la cosiddetta "cloracne" l'acne causata dal cloro) cominciarono ad allarmare gli abitanti della zona. Quindi su suggerimento del direttore dell'Icmesa i sindaci di Seveso e Meda emanarono un'ordinanza in cui si vietava alla popolazione di toccare ortaggi terra erba animali della zona prossima alla fabbrica e invitava a una scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti. Ma il mistero sulle sostanze pericolose emesse dall'Icmesa restò fino al 19 luglio quando la Givaudan dichiarò ufficialmente che la nube emessa dall'Icmesa conteneva diossina.
Le conoscenze sul metabolismo e sul meccanismo di azione di questa sostanza erano piuttosto scarse: l'unica certezza era la sua straordinaria tossicità cinquecento volte più della stricnina mille volte più del cianuro. Ed era la prima volta a parte quanto accaduto in Vietnam a causa dell'uso da parte degli americani dell'agent orange un potente diserbante e defoliante che la diossina contaminava una popolazione composta anche di donne e di bambini; tutti gli incidenti precedenti avevano infatti colpito solo gli operai di alcune fabbriche.
Le scarse conoscenze furono all'origine delle grandi incertezze e della grande confusione delle decisioni dell'assessorato alla Sanità della regione Lombardia a cui fu affidato il caso. Si iniziò con l'evacuazione di parte della popolazione e con l'isolamento della zona evacuata ma ben presto ci si accorse che il veleno si era depositato in dosi allarmanti in diverse altre zone – anche a Desio e Cesano Maderno – con conseguenti ulteriori evacuazioni. Si era ormai arrivati in piena emergenza.
La prima parte del libro ripercorre le varie fasi della vicenda sottolineando le grandi difficoltà incontrate dalle autorità a cui era stato affidato il caso nell'affrontare le diverse posizioni della popolazione ma anche dalle organizzazioni che si venivano creando all'interno della popolazione stessa da quelle di sinistra a quelle cattoliche in netto contrasto. Un contrasto che sarebbe definitivamente esploso quando alle donne incinte fu autorizzato l'aborto.
L'approssimazione e la lentezza degli interventi provocò irritazione nella popolazione evacuata che a varie riprese tentò di tornare nelle proprie case. Cominciarono le discussioni anche sui modi in cui avviare la bonifica con una fiera opposizione all'idea di un inceneritore e la scelta di sistemare il materiale inquinato in cassoni da inserire nel terreno. Nel giugno 1977 il consiglio regionale approvò finalmente i programmi operativi per la bonifica del territorio affidati a un ufficio speciale. In ottobre i primi nuclei familiari evacuati poterono tornare nelle loro case nonostante il perdurare delle misure restrittive mentre altri videro invece demolire le loro case. La bonifica continuò sino alla fine degli anni ottanta.
Dopo la descrizione molto ben documentata delle varie vicende che seguirono l'incidente per esempio le cause per il risarcimento dei danni e il processo ai responsabili di Givadaun e Icmesa l'autrice – dottore di ricerca in sociologia economica – affronta gli eventi in una prospettiva di lungo periodo facendo riferimento alle opere di numerosi sociologhi (soprattutto francesi e anglosassoni) che hanno contribuito ad analizzare i rapporti tra la collettività e il suo territorio e a realizzare una rigorosa piattaforma teorica del danno ambientale e della riparazione delle sue conseguenze sociali.
L'esperienza di Seveso ha contribuito alla progressiva presa di coscienza del rischio derivante dalla combinazione di fattori tecnici e delle condizioni sociali del loro impiego. E dopo Seveso vi furono il disastro di Bhopal in India (1984) e quello di Chernobyl in Ucraina (1986) per non citare molti altri disastri di dimensioni più limitate – come quello di Tolosa (2001) – che portarono a emendamenti e perfezionamenti della "Direttiva Seveso" (che molti vorrebbero cambiasse nome per evitare che "Seveso" resti il simbolo di ricordi angoscianti). Molti abitanti di Seveso hanno ancora in corso procedimenti giudiziari contro la Givaudan per rivendicare il diritto al risarcimento mentre molti altri sono ancora convinti che l'incidente sia stato alimentato strumentalmente dalla stampa e da gruppi estremisti.
Uno dei principali problemi emersi dal disastro di Seveso è la minaccia "non più solo sui viventi ma sulla loro discendenza" perché quando sono coinvolte sostanze chimiche pericolose sono ovvi i rischi genetici. Ma il problema vero è la qualificazione dell'evento ovvero l'individuazione delle caratteristiche che sono rilevanti per stabilire in che tipo di situazione ci si trova il che permetterà di stabilire "l'azione conveniente" da intraprendere cioè il modo corretto o adeguato di comportarsi nella situazione. Naturalmente i riferimenti rilevanti per l'azione devono essere condivisi da tutti gli attori coinvolti altrimenti sarà molto difficile realizzare un'azione comune come accade purtroppo molto spesso. Senza contare che le diverse posizioni sono ampiamente espresse in pubblico con conseguenze nefaste.
Un altro problema è la valutazione del danno che come a Seveso vede spesso contrapposte scienza e politica. Seveso anticipò infatti quella che oggi è la caratteristica distintiva dei rischi ambientali cioè l'incertezza sui loro danni potenziali e sui modi utili a prevenirli. Non va infatti dimenticato che ben poco si sapeva sulla diossina e che solo nel 1997 l'Agenzia per le ricerca sul cancro la classificò come agente cancerogeno per l'essere umano. L'incertezza fece sì che il governo della regione Lombardia centralizzasse le decisioni in risposta all'emergenza favorendo la posizione di coloro che prima di agire preferivano avere evidenze scientifiche più chiare. Questa centralizzazione oltre a rallentare gli interventi favorì posizioni radicalmente diverse nella popolazione e in tutti coloro – scienziati e no – che si occuparono della vicenda: dal disastro industriale si passò così al conflitto culturale.
Con il tempo la riparazione giuridico-economica del danno ambientale si affianca alla riparazione politica e a poco a poco – grazie all'attività di vari gruppi nati spontaneamente – gli abitanti della zona di Seveso cominciano ad accordarsi sulle iniziative di riparazione. Per esempio grazie a Legambiente e al wwf una zona agricola venne trasformata in oasi ambientale e infine nel ventennale dell'incidente venne creato il Bosco delle querce "una forma di risarcimento ambientale alla incapacità e all'errore umano". Accanto agli alberi pannelli scritti in italiano e in inglese costituiscono una "memoria discreta" dell'evento del 10 luglio e delle sue conseguenze un racconto all'insegna della misura e della cautela. Oltre che con una serie di fotografie alcune risalenti all'epoca del disastro altre più recenti il libro si conclude proprio con due immagini a colori del Bosco delle querce.
In un'epoca in cui i rischi ambientali si moltiplicano Ritorno a Seveso rappresenta un'ottima e approfondita analisi di tutti gli elementi che sono coinvolti e che possono contribuire – nel bene e nel male – a un intervento efficace all'atto dell'insediamento di una struttura industriale o anche dopo un eventuale incidente.
Emanuele Vinassa de Regny
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