Ritorno in Germania
- EAN: 9788879892810

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ARENDT, HANNAH, Ritorno in Germania
recensione di Pianciola, C., L'Indice 1997, n. 5
Lo scritto di Jaspers, riproposto in nuova traduzione, è la rielaborazione di lezioni che tenne nel 1945-46 a Heidelberg (da poco liberata dagli americani, che avevano salvato il filosofo - che i nazisti avevano destituito dall'insegnamento e privato del passaporto - e la moglie ebrea dalla minaccia della deportazione). La meditazione di Jaspers è intrecciata con quella di Hannah Arendt, l'ex allieva che aveva ripreso intensi scambi con lui dopo la guerra. Il breve saggio arendtiano del 1950 "Ritorno in Germania" termina affermando che "le attuali condizioni della Germania sono molto più un caso esemplare delle conseguenze del totalitarismo che una manifestazione del 'problema tedesco' in sé". Il fenomeno più sconcertante era per lei la fuga dalla realtà e dalla responsabilità di ciò che era accaduto.
La colpa e la responsabilità sono anche al centro delle riflessioni di Jaspers all'epoca del processo di Norimberga. Ci sono quattro tipi di colpa: criminale, morale, politica e metafisica. Dal punto di vista criminale e morale si può giudicare sempre soltanto la persona singola, mai una collettività; proprio i nazisti pretendevano che non ci fosse distinzione tra i singoli tedeschi e il "Volk" e sterminavano in nome dell'appartenenza ascrittiva. Diversa è la colpa politica: i tedeschi sono collettivamente responsabili, in diverse gradazioni, dell'ascesa e delle azioni del regime che hanno, se non attivamente sostenuto, tollerato; anche gli apolitici sono responsabili di quello che hanno permesso che si facesse con la loro astensione. In ultima analisi "un popolo è responsabile per la propria forma di governo". Tuttavia "c'è anche una colpa collettiva, dal punto di vista morale, nella maniera di vivere di una popolazione, maniera di vivere alla quale io come singolo prendo parte". Infine c'è la colpa "metafisica". Qui Jaspers rielabora, anche nelle tonalità di una religiosità non confessionale, un'idea contenuta nell'importante saggio arendtiano del '45 su "Colpa organizzata e responsabilità universale" (in "Ebraismo e modernità", a cura di Giovanna Bettini,Feltrinelli, 1993): l'appartenenza pregiuridica e prepolitica a una comune umanità fa sì che se "mi sono trovato presente e sopravvivo, dove un altro viene ucciso, in me parla una voce che mi dice che la mia colpa è il fatto di essere ancora vivo", dice Jaspers, e "gli uomini, in una forma o nell'altra, devono assumere la responsabilità di tutti i crimini commessi dagli uomini", dice Arendt. Si tratta però di non confondere i piani e i diversi tipi di colpa e di responsabilità.
Nella prefazione Galimberti svolge la tesi che la tecnica, con la sua efficienza anonima, e la riduzione degli individui a oggetto e strumento di apparati, "sottrae all'etica il principio della responsabilità personale, che era poi il terreno su cui tutte le etiche tradizionali erano cresciute": tesi che era già abbozzata in "Heidegger, Jaspers e il tramonto dell'Occidente" (1975, ora Il Saggiatore, 1996) ed è qui argomentata anche avvalendosi delle riflessioni di Anders. Meno globali le considerazioni svolte da Bolaffi, che mette in rilievo il rifiuto arendtiano di addossare le colpe del nazismo alle peculiarità della storia e della cultura tedesche piuttosto che al fenomeno, storicamente inedito e senza continuità con la tradizione, rappresentato dal totalitarismo. Più discutibile la rivalutazione dell'opera di rottura con il passato svolta da Adenauer, figura che Hannah Arendt non avrebbe compreso e adeguatamente considerato
Per la prima volta dopo la fuga in Francia e la successiva emigrazione negli Stati Uniti, Hannah Arendt, tra l'agosto del 1949 e il marzo del 1950, fece ritorno in Germania su incarico della Commission on European Jewish Cultural Reconstruction. Le impressioni, le esperienze e le conoscenze di questo viaggio attraverso una Germania non solo esteriormente distrutta vennero raccolte dalla Arendt nel saggio che qui pubblichiamo, apparso nell'autunno del 1950 sulle pagine della rivista «Commentary» e inedito in italiano. Questo testo, forse il più intelligente, commosso e puntuale tra quelli scritti sul tema «Germania anno zero», è il tentativo di una donna estremamente sensibile di superare con la forza dell'intelligenza il dolore, l'amarezza personale e il risentimento nei confronti del proprio paese dopo la tragica esperienza del nazionalsocialismo, della seconda guerra mondiale e della Shoà. Non solo ricordo, non solo testimonianza: l'opera della Arendt suona ancor oggi sorprendentemente attuale, nel momento in cui la Germania, a mezzo secolo di distanza da quegli avvenimenti, torna a occupare un ruolo centrale nel vecchio continente e nella vicenda geopolitica dell'intero pianeta.
