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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Come sempre accade ai poeti e agli scrittori che frequentano, indisciplinati, lo spazio dell’arte, ricercando nel corpo dell’opera come nella vita dell’artista la possibilità di una rivelazione altrimenti inaccessibile, anche John Berger rifiuta categoricamente di essere definito critico d’arte. «Nell’ambiente in cui sono cresciuto fin da adolescente, dare del critico d’arte a qualcuno equivaleva a un insulto. Il critico d’arte era un tizio che sparava giudizi e pontificava su cose di cui sapeva poco o nulla». Nella stringata premessa con cui ha accompagnato la pubblicazione dei suoi Portraits d’artista, ora editi in Italia nella traduzione di Maria Nadotti, Berger – scrittore, giornalista, intellettuale di partigiana coerenza – precisa subito come i testi diversi che compongono questa, davvero monumentale, raccolta non siano frutto di una pratica critica di tipo professionale ma di un’indagine che contraddice ogni rigido, e per questo insoddisfacente, metodo di valutazione: «un sistema è una specie di dannazione che ci costringe ad una perpetua abiura», aveva scritto Baudelaire. Più che recensioni o cronache d’arte, quelli di Berger sono racconti che hanno l’irriverenza del gesto poetico e la crudeltà della testimonianza, sono i documenti mai ingenui di un’interrogazione che riguarda, innanzitutto, l’autore: l’autore dell’opera e, insieme, l’autore dello scritto che la riguarda.
Pur nella molteplicità delle occasioni e dei contesti da cui, nel corso di oltre mezzo secolo (dal 1952 al 2016), sono scaturiti gli ottantotto capitoli del volume, aperto dai pittori della grotta di Chauvet e chiuso da Randa Mdah, trentenne artista siriana. E nonostante la differenza di respiro che li caratterizza – si va dalla fulminea notazione al saggio passando per il dialogo «filosofico» e la scrittura epistolare – tutti i testi confluiti in Portraits sono davvero dei ritratti, delle esposizioni che mettono in luce, e quindi a rischio, un rapporto, una relazione, un avvicinamento. «Il ritratto (mi) somiglia, il ritratto (mi) richiama, il ritratto (mi) ri-guarda»: sono parole di Jean- Luc Nancy, e per quanto l’autore del Ritratto e il suo sguardo non sia fra i molti interlocutori, poeti e filosofi, che Berger di volta in volta ha coinvolto nel suo confronto con l’arte e con gli artisti – è un vero peccato che la mancanza di un indice dei nomi non consenta di ricostruire immediatamente la rete fitta degli scambi e dei rimandi che anima Ritratti – appare a mio avviso evidente che, come per Nancy, anche per lo scrittore, nato a Londra nel 1926, il ritratto produca il suo soggetto nella reciprocità, in un incontro che secondo John Berger è, prima di ogni altra cosa, un antidoto all’indifferenza.
Stefania Zuliani
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