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La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di Destra nella Germania di Weimar - Stefan Breuer - copertina
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La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di Destra nella Germania di Weimar
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1995
10 gennaio 1995
XII-212 p.
9788879891264

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Fabrizio
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Nonostante l'edizione sia un po' vecchiotta (prezzo di copertina quasi 40.000 lire) penso sia un ottimo saggio che offra una panoramica sul periodo, partendo da differenze e analogie di un pensiero politico molto eterogeneo nello sviluppo. Forse tutte quelle note e citazioni all'interno del testo un po' fanno confondere e hanno un effetto decisamente dispersivo, ma ne riconosco l'utilità ai fini della comprensione generale

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Voce della critica


recensione di Balistreri, A.G., L'Indice 1996, n. 1

Il libro di Stefan Breuer costituisce per il lettore italiano la prima presentazione d'insieme di tutta quella galassia di autori, idee, motivi tematici, attività politica e pubblicistica, nota dallo studio di Armin Mohler in poi (1950) col nome di "rivoluzione conservatrice". Proposito di Mohler (che era stato segretario di Ernst Jünger e divenne poi uno degli ispiratori della Nouvelle Droite di Alain de Benoist) voleva essere quello di delimitare un'area di elaborazione teorica e di prassi politica che negli anni della repubblica di Weimar si era certamente incrociata con il nazionalsocialismo, senza che per questo, a sua veduta, potesse considerarsene un semplice battistrada. Si trattava quindi per Mohler di salvare dalla rovina nazionalsocialista, un nocciolo di pensiero antiliberale, autoritario ed elitarista, in linea con la svolta filosofica antidemocratica di fine secolo, che sulle orme di Nietzsche si era trovato a rifiutare la visione lineare progressiva della storia - riconoscendo a tutto questo complesso di idee piena legittimità storica e teorica. Da allora quello di "rivoluzione conservatrice" è diventato uno tra i più dibattuti e travagliati concetti storiografici, tanto che di volta in volta ci si è sempre chiesti se fosse veramente esistita una "rivoluzione conservatrice.
È ancora su questo interrogativo che ritorna ora il libro di Breuer, per rispondervi categoricamente con un no che, sulla scorta dell'ampio materiale di idee trattato e dissezionato, vuole porsi come sentenza definitiva. Ecco allora che vediamo passate in rassegna le posizioni di alcuni dei rappresentanti più tipici e significativi della rivoluzione conservatrice (e in particolare di Spengler, Moeller van den Bruck, Stapel, Freyer, Schmitt, Jung, Jünger, Niekisch, Zehrer), intorno ai temi nodali, ideologici e pratico-politici, che li caratterizzano e che dovrebbero costituire il terreno comune della "konservative Revolution*: il confronto con il liberalismo occidentale, le concezioni economiche, il problema della civilizzazione tecnica e scientifica, le idee di nazione, popolo, razza, il 'Führergedanke', i propositi di rinascita del grande Reich tedesco e - per noi particolarmente significativa - la ricezione avutasi nei confronti del fascismo italiano. Ebbene, su tutto questo non è rinvenibile alcuna teorizzazione in linea di massima da tutti condivisa, mentre gli schieramenti si spostano e si ridefiniscono continuamente a seconda delle singole questioni. Breuer perviene quindi alla conclusione secondo cui, poiché "non esiste una teoria valida per tutti gli autori" considerati appartenenti alla rivoluzione conservatrice, poiché, vale a dire, non esiste "un nucleo esclusivo" attorno a cui essi possano riconoscersi, allora una tale denominazione deve essere "espunta dall'elenco delle correnti politiche del XX secolo". Se un punto d'incontro effettivamente esiste, precisa Breuer, si tratta però soltanto del rifiuto del liberalismo occidentale in nome dell'alterità e delle peculiarità dello spirito tedesco, di un motivo, cioè nient'affatto caratterizzante in modo esclusivo la "konservative Revolution*.
Dunque non resterebbe altro che considerare tutta la nebulosa della destra weimariana come una semplice manifestazione preparatoria all'avvento del nazionalsocialismo, al cui interno essa si lascerebbe assorbire come suo esito conseguente e senza scarto? Non è questo l'intento di Breuer. Egli invece propone di ridefinire come neonazionalismo ciò che fino ad ora è stato inteso come "rivoluzione conservatrice", poiché solo così è possibile rinvenirne la cifra ideologica comune. In questo modo, però, Breuer mentre demolisce il paradigma scientifico di Mohler sembra salvaguardarne in una certa misura proprio il proposito prescientifico: quello cioè di distinguere un'area politica di opposizione al regime weimariano collaterale, ma non assimilabile al nazionalsocialismo. Naturalmente rimane tra i due studiosi la differenza sostanziale per cui, mentre per Mohler si tratta di portare in salvo un patrimonio di pensiero strappandolo al naufragio nazionalsocialista, per Breuer invece il neonazionalismo costituisce comunque una manifestazione patologica, da non circoscrivere alla sola Germania, ma da assumere come uno dei percorsi possibili e nient'affatto anomali di modernizzazione, come una "malattia dell'organismo intero", di quel sistema-mondo, cioè, creato dall'Occidente, e con cui oggi, in altre aree del pianeta, siamo ancora alle prese.
Un grosso merito del libro di Breuer sta proprio nel porre la "rivoluzione conservatrice" sotto il segno della modernità: il conservatorismo sarebbe un fenomeno storico-sociale ben determinato, per cui esso dovrebbe risultare inutilizzabile per designare movimenti politici propri del XX secolo. Il pensiero della "destra rivoluzionaria" va ascritto per conseguenza, secondo Breuer, alle contorsioni proprie della modernità. In questo modo si assumono finalmente come moderne le stesse resistenze al Moderno. Ma a questo punto sorge la domanda: se fosse proprio questa l'anima del conservatorismo? In tal caso Breuer ne avrebbe combattuto solo il fantasma, e rimarrebbe esposto a un suo attacco di sorpresa.
Bisogna avvertire rapidamente che la traduzione lascia molto a desiderare. Ne diamo due esempi particolarmente rilevanti. Si legge quasi all'inizio a proposito della rivoluzione conservatrice: "Solo negli anni quaranta comincia ad affacciarsi il significato odierno, che include i movimenti di destra dai tedesco-nazionali ai nazionalsocialisti" (p. VII, corsivo nostro), mentre in realtà l'autore dice che essa designa tutto ciò che si trova tra (zwischen) tedesco-nazionali e nazionalsocialisti (ed. orig., p. 1) - e solo così ha senso tutto ciò che viene dopo. Leggiamo poi che il conservatorismo si caratterizzerebbe per il fatto di opporre "al principio di 'crescita' la categoria della non-realizzabilità" (p. 7), quando invece secondo l'originale sia "das Prinzip des 'Wachsens'" sia "den Rekurs auf das Nicht-Machtbare" (p. 14, termine, quest'ultimo, peraltro non reso adeguatamente) costituiscono elementi propri della concezione conservatrice.

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