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Nata in Inghilterra fra Cinque e Seicento, la consuetudine del "Grand Tour" o del viaggio in Europa come esperienza di formazione della classe dirigente, si diffonde su tutto il continente nei secoli successivi, fino a diventare tappa obbligatoria o ideale coronamento degli studi per i giovani rampolli dell'aristocrazia. Diventato con il tempo "interclassista" e codificato nei suoi itinerari a finalità didattica, il Grand Tour prevedeva la visita delle città d'arte italiane, e Roma, con il suo patrimonio monumentale antico e anche rinascimentale e barocco, aveva un ruolo di primo piano. I contributi del volume curato da Marina Formica sono appunto dedicati a Roma e ai suoi dintorni, come meta di viaggio soprattutto per turisti non italiani e nordeuropei. Come sottolinea Cesare de Seta, l'effetto del Grand Tour "non si risolve nell'esperienza personale di chi lo vive, ma diviene un fattore essenziale nella trasformazione del gusto dei paesi d'origine". Ed è proprio il trasferimento delle "impressioni di viaggio" in prodotti differenziati (descrizioni letterarie, ma anche documenti visivi come stampe, disegni, oggetti, souvenir) a determinare l'onda lunga di questo "effetto di ritorno". L'Italia e Roma ricevono così una forma culturale attraverso gli occhi, la parola e la memoria dei visitatori, dando origine a un mito destinato a lunga fortuna; sia che venga privilegiata la variante urbana o artistica dell'itinerario (Les promenades dans Rome di Stendhal ne rappresentano il punto culminante nel 1829), sia che la preferenza vada ai paesaggi e alle rovine della campagna romana o alle pittoresche località del Lazio (si pensi alla Italienische Reise goethiana o a certe pagine di Coleridge). E in questa riscoperta delle proprie radici l'Europa comincia a fare i conti con la propria identità.
Rinaldo Rinaldi
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