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Anni trenta: nelle pensioni berlinesi vivono molti immigrati russi. In stanze fredde e umide, immaginando vasti spazi di steppe dietro i tulipani bluastri della carta da parati, fabbricano i loro sogni e attendono che il tempo passi. Un giovane svende il surplus della sua istruzione elitaria e, mentre aspetta il ritorno del padre, coltiva una vocazione letteraria che, forse, gli darà la gloria e la felicità. Un altro fa degli scacchi l'ossessione della sua vita, che lo porterà a girare il mondo sbaragliando gli avversari. Il povero Smurov, invece, esiste solo per ciò che "si riflette in altri cervelli".
Nelle pensioni berlinesi questi immigrati nostalgici, murati nella loro solitudine, giocano a credere nell'avvenire, senza illusioni. In Vladimir Nabokov, la nostalgia è un prisma che al paese natale, la Russia, dona la sua anima, i suoi colori, l'unicità dei suoi odori. Ma non è forse il caso di rinunciare alla nostalgia? A qualsiasi patria tranne "quella che è dentro di me, attaccata come argentea sabbia di mare alla suola delle scarpe"? Un giorno, staccandosi dalle loro carte, dalla loro scacchiera, dalle loro ossessioni, questi personaggi guarderanno fuori dalla finestra e vedranno l'autunno russo. C'è una concordanza reale tra le tappe della vita dello scrittore e gli ambienti messi in scena nelle sue opere: il piccolo mondo degli emigrati russi in Occidente, i circoli berlinesi della parentesi repubblicana di Weimar, prima degli affreschi dei college e dei motel americani.
Nell'attesa di ritrovare questi ultimi nel secondo tomo, cui seguiranno le opere critiche e autobiografiche, godiamoci il primo tomo dei Romanzi, pubblicato da Adelphi a cura di Brian Boyd, uno dei maggiori studiosi di Nabokov. L'elegante volume raccoglie tre opere giovanili dalle cui pagine affiorano già personaggi straordinariamente ricettivi, solitari, indimenticabili, e riflessioni che si addentrano nel labirinto dei ricordi, nutrite di riferimenti alla cultura letteraria russa. La prima è La difesa di Luin (1930), il cui protagonista è uno dei geniali maniaci creati da Nabokov, fuori luogo nella sua famiglia, nel suo ambiente e persino nel mondo degli umani, ma, come il futuro Humbert di Lolita, capace di un amore "alla vecchia maniera", che non fa parte della sua difesa, anzi rappresenta la radice della sua debolezza. Luin appartiene al novero dei personaggi che creano continuamente nuovi mondi per conto proprio, salvo poi perdersi nell'immagine che essi stessi hanno creato: è pazzo a pensare al mondo come a un gioco di scacchi, a parte il fatto che il mondo in questo romanzo è un gioco di scacchi.
La difesa di Luin allude in qualche modo al più ricco intreccio di Il dono, il capolavoro in lingua russa di Nabokov pubblicato nel 1937. Il protagonista è un giovane poeta russo dell'emigrazione, Fëdor Godunov-Čerdynskij, autore di una raccolta di poesie dedicate all'infanzia e al ricordo, che si sta dedicando a due tentativi contrapposti di opere in prosa: una sul padre, avventuroso esploratore scomparso in Asia, l'altra sul padre dell'intelligencija russa, il radicale Černyevskij, autore del romanzo Che fare? sugli "uomini nuovi" condannati e deportati in Siberia. Filtrato dalla dialettica di queste due biografie, dalla contrapposizione tra arte e ideologia, il "che fare?" di Fëdor ha una risposta semplice: "Vivere, leggere, pensare; lavorare allo sviluppo di se stessi per raggiungere lo scopo della vita: la felicità". La felicità viene dal dono della lingua russa, della poesia, dell'incanto della vita e alla fine del libro Fëdor la raggiunge, sognando di scrivere il romanzo che ha appena terminato.
Se Il dono nasce sotto gli auspici di Pukin, il poeta che soffriva per non poter lasciare la Russia, L'occhio (1930) ha una dimensione dostoevskijana nel suo voyeurismo che porta il protagonista a diventare spettatore di se stesso, convinto della natura spettrale della sua esistenza. Dal momento in cui Smurov, il protagonista, pensa di essere morto suicida, vive in un inferno di specchi, finché le immagini gemelle non si fondono in una. Ciò nonostante si scopre felice: ha capito che "l'unica felicità sta nell'osservare, spiare, sorvegliare", contemplare se stessi e non essere altro che un grande occhio fisso. La felicità, inseguita con la leggerezza di una farfalla, è un tema che ricorre spesso nelle opere di Nabokov. Sorprendente è il fatto che venga da uno scrittore considerato il prototipo dell'artista esiliato, che a quel tempo ha da poco perduto la patria, la propria fortuna e il padre.
Nadia Caprioglio
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