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Nella mente di molti bolscevichi con cui ho parlato, ho percepito l’ombra fredda di un sospetto sulla loro realtà: il sospetto che quanto hanno attuato in Russia non sia davvero la rivoluzione marxista promessa, ma che siano finiti piuttosto a bordo di un relitto”. Quando nel 1920 Wells, scrittore britannico popolarissimo, visita l’Unione Sovietica, la sua impressione è proprio quella di trovarsi a bordo di un immenso relitto, risultato del naufragio del dispotico e arretratissimo regime zarista. I bolscevichi, presentati dai giornali inglesi del tempo come “agenti di un misterioso complotto razziale, in cui ebrei, gesuiti, massoni e tedeschi si sono uniti tutti insieme”, gli appaiono invece come una coraggiosa élite che sta tentando di salvare il salvabile e di preservare un minimo di ordine in un paese che la guerra ha ridotto allo stremo e portato sull’orlo della barbarie. Guidato da questa certezza, che non gli impedisce di denunciare l’incompetenza di un gruppo al potere secondo lui onesto ma inesperto, Wells descrive nelle pagine di questo reportage una serie di incontri di estremo interesse. L’amico Gor’kij lo fa partecipe dell’immensa impresa cui cerca di far fronte con mezzi poverissimi, ossia un’enciclopedia della letteratura universale quale non è mai stata realizzata; Pavlov lo riceve in un laboratorio dove deve tenere il cappotto addosso per la mancanza di riscaldamento; Lenin, assai piccolo di statura e molto meno dogmatico dei suoi scritti, discute con lui di economia e di politica. Sullo sfondo, un paese disastrato che soltanto il governo bolscevico – per quanto Wells non ne condivida i principi ? può forse salvare e riportare in seno alla civiltà.
Recensione di Bruno Bongiovanni
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