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La Russia post-sovietica. Un viaggio nell'èra Eltsin - Roj A. Medvedev - copertina
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Descrizione


La rivoluzione "anti-comunista" dell'estate del 1991, imposta dall'alto per volontà di Boris Eltsin e del suo entourage al fine di abolire l'industria di Stato, privatizzare le infrastrutture e consentire alla Russia l'ingresso a pieno titolo nell'economia di mercato, era sostenuta da gran parte dell'opinione pubblica, delusa dagli scarsi risultati della perestroika. Sette anni più tardi l'intero sistema economico russo crollò. Non vi fu nessun complotto; il peso stesso degli errori e delle scelte approssimative causò una generale bancarotta. Roj Medvedev cerca di far luce su un decennio complesso e drammatico dove interessi economici e sociali si sono spesso incrociati con quelli della malavita.
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Dettagli

2002
12 marzo 2002
XI-421 p.
9788806160784

Voce della critica

Venti anni fa circolava in Unione sovietica una battuta: il socialismo è la via più lunga dal capitalismo al capitalismo. Dieci anni fa, la battuta si era trasformata in disciplina largamente praticata: erano nati gli "studi sulla transizione", ispirati dalla convinzione che il postcomunismo potesse ripercorrere l'esperienza di Germania, Giappone, Italia, e anche di Cile e Spagna, tutti paesi che nel secondo dopoguerra avevano sperimentato una transizione relativamente pacifica e breve dalla dittatura alla democrazia, all'economia di mercato e alla rule of law. La realtà odierna ha invalidato i postulati sui quali si fondava la "transitologia". Dei ventisette paesi postcomunisti, pochi hanno sinora compiuto la triplice transizione; in alcuni casi gli obiettivi sembrano arretrare verso un orizzonte sempre più remoto.

Una visione fosca dei risultati del postcomunismo in Russia è proposta dal lavoro di Medvedev. Biografo dei maggiori dirigenti sovietici da Stalin in poi, Medvedev punta prevedibilmente l'indice sull'inadeguatezza del fattore umano: i dirigenti che si sono succeduti alla guida della nuova Russia sono stati nella quasi totalità inetti, incapaci, corrotti e, soprattutto, proni ai voleri dell'Occidente. Prodotti come sono di un assemblaggio di articoli scritti contemporaneamente agli avvenimenti descritti, privi di un qualsiasi confronto critico con commentatori e studiosi (in particolare non russi), i giudizi di Medvedev, più che dissenso, suscitano disinteresse per la loro ripetitività e superficialità. Manca infatti nel suo lavoro ogni riflessione sulle trasformazioni della società, dalla formazione di un largo strato di "nuovi poveri" e al consolidarsi di una altrettanto nuova "classe media". I sondaggi di opinione hanno più spazio dell'analisi dei risultati elettorali. Il ruolo della costituzione è ignorato. Delle guerre di Cecenia e dell'evoluzione della politica estera si parla solo di sfuggita. L'ottica cremlinologica con la quale sono osservate le vicende ha l'effetto paradossale di sminuire il ruolo dei principali protagonisti dell'"era El'cin".

Nella girandola di arrivisti senza scrupoli, di "privatizzatori" fanatici (Gajdar, Cubajs), di falsi oppositori (Zirinovskij e Zjuganov), a El'cin tocca il ruolo di personaggio negativo per eccellenza. Più che dissentire (lo stesso El'cin ha riconosciuto, nel suo messaggio di addio, di non essere stato all'altezza del compito), il lettore è indotto a chiedersi come mai i russi gli abbiano rinnovato la fiducia nelle elezioni e nei referendum tenuti dal 1990 in poi. Dall'autobiografia di El'cin emerge un personaggio meno rozzo di quanto giudichi Medvedev, che negli anni della presidenza un'idea-guida l'ha avuta: impedire la formazione dei naturali contrappesi agli enormi poteri accumulati. In questo, la sua azione ha avuto successo; all'osservatore esterno la Russia si presenta come un paese che ha fatto passi indiscutibili verso il pluralismo, ma attende ancora una élite politica non improvvisata, un parlamento funzionante, una società civile consolidata, partiti reali.

Se è così, l'eredità che El'cin lascia al suo successore è molto pesante, e insidiosa l'investitura di statista che Medevdev dà a Putin presentandolo come il migliore esponente di una generazione di politici "pragmatici disincantati", desiderosi di utilizzare tutti i sani valori e le tradizioni della vecchia Russia, dell'Unione sovietica e della nuova Russia. È il ritratto di un Gorbacëv meno retorico, più concreto e più nazionalista, ribadito in una biografia agiografica di Putin che Medvedev ha pubblicato nel 2001. Al lettore non resta altro che augurarsi che Putin non ascolti le lusinghe di consiglieri che vogliono riportare indietro l'orologio della storia, verso un "riformismo dall'alto" che già una volta ha suscitato iniziali consensi, per poi precipitare l'Urss nella sua crisi finale.

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Conosci l'autore

Roj A. Medvedev

1925, Tbilisi

Roj A. Medvedev, nato a Tbilisi nel 1925, studi di filosofia, docenza di pedagogia, storico, è stato uno dei più autorevoli rappresentanti del dissenso in Urss fin dagli anni settanta. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, molte delle quali tradotte in tutto il mondo, tra cui Lo stalinismo (Mondadori 1972); Gli ultimi anni di Bucharin (Ed. Riuniti 1979); Krusciov: gli anni del potere (Mondadori 1977); Tutti gli uomini di Stalin (Ed. Riuniti 1985); Dissenso e socialismo (Einaudi 1977); La rivoluzione di Gorbaciov (scritto con Giulietto Chiesa, Garzanti 1989); Intervista sul dissenso in Urss (a cura di Piero Ostellino, Laterza 1977).

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