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L'ultima parte del primo volume e questo secondo volume, costituiscono purtroppo la parte più carente dell’opera. Si presentano infatti le comunità arbëreshe, e in particolare il Collegio di San Adriano, come fortemente antiborboniche anche se non si riesce a capire il perché di tale avversione, tenuto conto che mai più il collegio godrà della stessa libertà, autonomia, e prestigio. L’autore vorrebbe presentare una sorta di unanimità arbëresh giacobina e pro-risorgimentale, ma non può fare a meno di citare fatti e documenti che dimostrano che le comunità arbëreshe, sia nel 1799 che nel periodo risorgimentale, nella realtà furono divise così come lo era il resto della società meridionale del tempo. L’attività più benemerita, secondo l’autore, è quella relativa al periodo risorgimentale, qui però la presentazione è piuttosto apologetica, acritica, di parte, vengono comunque presentate diverse figure interessanti. La sensazione (che si ricava dal libro) però è che la maggior parte di questi personaggi, comunque funzionali agli interessi della borghesia, non si rendesse ben conto di quello che effettivamente succedeva intorno a loro. Quando la loro utilità di “quinte colonne” quasi redivivi Balabani (traditore albanese) non risultò più necessaria, furono senz'altro marginalizzati. La conseguenza fu un ulteriore esodo delle comunità albanesi nell’ambito dell’esodo – emigrazione - meridionale conseguenza della cosiddetta “unità” e delle esplicite politiche dello Stato unitario.Un lavoro, nonostante i molti e non lievi limiti, comunque interessante e ben scritto – lo si legge tutto di un fiato – che è senz’altro consigliabile per i varî aspetti positivi tratteggiati più sopra, e per l’insieme dei documenti citati. Per i periodi più recenti (cioè più o meno dal XIX secolo in poi) si dovrà aspettare un’analisi meno legata alle varie mitologie risorgimentali, che però in ambito arbëresh sembra sia ancora di là dal venire.
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