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La saponificatrice, come dice il titolo, si muove tra ombre, nebbie e gran bolliti, e il suo ruolo più che una devianza mentale orrifica sembra il perfetto mito negativo prodotto dalle storture morali di un paesino sordido di secreti inenarrabili. Più che un luogo reale sembra di trovarsi in un luogo predestinato alla dannazione, creato per espiare i peccati. I personaggi non appaiono innocenti neppure quando lo sono, se non altro per trovarsi lì, nel posto sbagliato, come Angelica che vi giunge per punizione, per scontare i lati oscuri della sua natura, che aveva generato nei suoi confronti la persecuzione in ufficio. Angelica è il nome perfetto e ambiguo per una delle due coprotagoniste del romanzo alla luce dell'esito finale, peccato non poter scrivere di più per non rivelare troppo, così come quello di Beatrice Soldi che contiene in sé il nome dantesco salvifico (nelle menti come la sua, in stato di perenne allucinazione in una realtà alterata, è facile esaltarsi con la presunzione di concedere alle vittime una chance di esistenza oltre la morte che ne riscatti la vita, seppure in forma di candele e saponi) e il simbolo dell'avidità, da sempre un buon movente per il delitto. Il ruolo di Beatrice è chiaro fin dall'inizio. La sua è una condanna che la tormenta e nello stesso tempo l'unico rimedio al male che porta dentro. Come per il classico serial killer che ci si aspetta, l'escalation della violenza è inevitabile. Paolo di Orazio trascina il lettore nella vicenda con un linguaggio ricco e serrato, avvolgente, a volte claustrofobico, senza tregua, lo lascia immaginare ciò che potrebbe succedere, prevedibile ma mai come di fatto accade. Un autore che anche questa volta non smentisce la sua autorevolezza nel genere horror.
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