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Satantango - László Krasznahorkai - copertina
Satantango - László Krasznahorkai - 2
Satantango - László Krasznahorkai - 3
Satantango - László Krasznahorkai - 4
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Satantango

Descrizione


Finalista del Premio Gregor von Rezzori 2017 come migliore opera di narrativa straniera
Finalista Premio Strega Europeo 2017

Vincitore del Man Booker International Prize 2016


«"Satantango" è un romanzo colossale: compatto, costruito con intelligenza, spesso esilarante e in possesso di una visione distinta e convincente.»The Guardian

«Questa prosa inesauribile eppure claustrofobica, con la sua tessitura di frasi lunghe e dense, come corde tentatrici tese tra la banalità e l'apocalisse, assicura all'autore un posto nella tradizione europea di Beckett, Bernhard e Kafka.»The Independent

Il comunismo è ormai al tramonto e nella fangosa campagna ungherese quel che resta di una comunità di individui abbrutiti vive una vita senza speranza in una cooperativa agricola ormai in sfacelo. Tutti vogliono andarsene e sperano in un futuro migliore grazie al denaro che riceveranno dalla chiusura della loro fattoria collettiva. Quando all'improvviso si diffonde la notizia che il carismatico Irimiás, sparito due anni prima e dato ormai da tutti per morto, è stato visto sulla strada che porta al villaggio e sta per tornare pare un miracolo. È l'inizio dell'attesa, dell'avvento incombente di qualcosa che li può liberare ma che avrà pesanti conseguenze sulle loro vite disperate. Si troveranno infatti a far fronte non solo alle astuzie di Irimiás, ma anche ai conflitti che li dividono.
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Dettagli

2016
1 dicembre 2016
9788845283291

Valutazioni e recensioni

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Davide V.
Recensioni: 4/5
Le relazioni si disgragano

Un tratta sulla mancanza di dialogo, ricco di significati e allusioni, metafore e allegorie dell’emotività.

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Sandro G 74
Recensioni: 5/5

Concordo in pieno con le precedenti recensioni, un romanzo affascinante e misterioso che ti cattura ti ammalia grazie anche ad uno stile, ad un linguaggio serpentesco, le cui lunghe frasi incastonate ad arte fra loro, ti rapiscono dentro un incantamento letterario magiaro. Opera in cui si avverte l'influenza arcana del Processo di Kafka, il senso del grottesco di ciascun personaggio, come una tragicommedia che scorre lungo lunghe sequenze in dissolvenza, che si ricompongono per poi decomporsi nuovamente in una vana attesa messianica che corrode le coscienze. Capolavoro

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ile
Recensioni: 4/5

Difficile descrivere le impressioni che mi ha suscitato questo bellissimo libro, simili forse a quelle provate con l'Urlo e il Furore. Non che c'entri nulla con Faulkner, se non una bellissima scrittura con personaggi terribilmente squallidi. E' molto forte, infatti, il contrasto tra lo stile della lingua nel descrivere gli ambienti, con i dialoghi, appositamente sciatti e banali, come lo sono i poveri derelitti, che giacciono senza tempo in questo luogo che per me però ha una grande fascino. Vengono in mente fabbriche abbandonate da archeologia industriale, nella nebbia, nel freddo e nella pioggia, un'atmosfera di disfacimento dove anche la speranza viene meno. Non c'è nulla di "bello" in questo libro, nessun personaggio che attiri simpatia, se non forse il povero Futaki, con cui il libro si apre (e si chiude). Eppure è indimenticabile, con la sua perfetta struttura circolare, con la cesellatura nelle parole, con l'aspettativa delusa di tutti tranne che del lettore.

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Voce della critica

Pastori erranti dell’Ungheria. Arriva finalmente Satantango

Come nelle deragliatissime geografie antiumane di Ciprì e Maresco, che riemergono alla memoria anche per via dell’alchemico bianco e nero che nel 1993 Béla Tarr utilizzò nella sua trasposizione cinematografica, così nelle pagine acquitrinose di Satantango di László Krasznahorkai, il senso di un’apocalisse grottesca rende meno affezionati alla vita. La vicenda editoriale nostrana di questo romanzo straordinario è delle meno onorevoli: uscito in Ungheria nel 1985 solo nel 2016 Bompiani lo ha pubblicato in Italia – con la bellissima traduzione di Dóra Várnai – complice la fortuna che l’autore ha riscontrato negli Stati Uniti qualche anno fa. E proprio qualche anno fa giunse Melancolia della resistenza per le cure del meritorio, poi scomparso, editore Zandonai.

Nelle campagne infradiciate dalle piogge d’ottobre, in uno «stabilimento» ormai disabitato, un gruppo di «superstiti» che non si è accordato alla «fuga» generale quando i piani collettivisti sono falliti, sosta in attesa di un’epifania. «Vedrai, oggi succederà qualcosa», dice Futaki alla signora Schmidt. Nell’attesa, però, tutto va in rovina lentamente, con la stessa paziente metafisica dei ragni che tessono la loro tela su ogni oggetto della kocsma, la bettola dove sovente Futaki, il signore e la signora Schmidt, i Kráner, gli Halics, la signora Horgos, il fattore Kerekes, il preside e l’oste si ritrovano per ubriacarsi. Parlano di niente, nella cappa e nell’ebbrezza, si tradiscono, «stanno seduti in cucina, cagano nell’angolo, e ogni tanto guardano fuori dalla finestra, per spiare cosa fanno gli altri».

Tutto cambia, però, quando all’orizzonte appaiono Irimiás e Petrina, due «compari» dati per morti diciotto mesi prima. Irimiás, «mago» e dotato di una prodigiosa furbizia, è sempre stato capace di risolvere situazioni impossibili: la sua venuta è il segnale di una speranza rinnovata, il segno escatologico che la fine della sofferenza è vicina.

Schiacciati da una fine della storia, magistero tetro del post-socialismo, asserviti a un diritto di natura che è tanto sociale (tutti sono servi di qualcun altro: l’oste del fattore; il dottore del liquore, la sua palinka; Futaki della violenza di Schmidt; Irimiás e Petrina dal misterioso Capitano) quanto cosmico («Quando crediamo di esserci appena liberati, in realtà abbiamo solo aggiustato i lucchetti») i personaggi di Satantango vivono nella zona di faglia fra un tempo premoderno – nel quale si cerca la rigenerazione dell’illo tempore attraverso l’immersione nel caos, nell’orgia, nelle tenebre e nel diluvio – e l’avvento messianico di Irimiás, capace di spezzare «l’eternità dell’assoggettamento». Nel vuoto abissale che si spalanca tra il mito dell’eterno ritorno e la promessa evangelica di una resurrezione («urlò alle facce sorprese “RESURREZIONE!”, quando era ormai sicura di aver trovato la parola senza dubbio più adatta»), Kraszahorkai getta il suo sguardo.

Anche la ripartizione dei capitoli, in fondo, mima questa simmetria: a una prima parte arcaica ne sussegue una seconda messianica, senza che questa opposizione binomiale conosca una terza strada, una via di uscita, nonostante che le sia consacrato il sacrificio di un’innocente.

Per questi pastori erranti dell’Ungheria non c’è redenzione, né resurrezione, solo zone d’indicibile – come quelle dove esplodono le incredibili scene di levitazione e di spettri –, aree lontane anche spazialmente, dove la ragione umana arretra con scetticismo, dove il mistero si esibisce, ma niente cambia. Il carnevale parodistico di Kraszahorkai – che proseguirà nel successivo romanzo Melancolia della resistenza, incentrato su un circo – è un’immane tragedia che proprio recuperando una fiducia nelle forme e nelle strutture letterarie evita un generico scetticismo postmodernista e raggiunge luoghi di silenzio e di apnea dove non può abitare alcun umano. Al più qualche ragno.

Recensione di Filippo Polenchi.

Leggi la recensione completa su Alfabeta2.it

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Conosci l'autore

László Krasznahorkai

1954, Gyula (Ungheria)

Scrittore ungherese, ha vinto numerosi premi internazionali e ha pubblicato in diversi paesi. La critica lo considera il più grande scrittore ungherese vivente, sia per i suoi romanzi sia per i suoi racconti. In Italia ha pubblicato Melancolia della resistenza (Zandonai) e Satantango (Bompiani 2016).

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