"Negro de nadura, no conta sfregadura", recita un proverbio ladino dell'Agordino, nell'alto Veneto, riportato da Giovan Battista Rossi nel suo Vocabolario dei dialetti ladini e ladino-veneti della zona. Lavare un nero equivale a tentare l'impossibile. Era impossibile del resto, a inizio Settecento, secondo l'autore di un fortunato manuale di buone maniere per l'alta società inglese, William Darrell, "d'una figliuola mal educata farne una saggia e virtuosa donna": sarebbe stato più facile "imbiancare un Etiope". Rendere bianco un nero, insomma, sfregandolo, lavandolo, imbiancandolo o sbiancandolo, è stato a lungo sinonimo di ambizioni velleitarie o sogni irrealizzabili; ma non può sfuggire la connotazione razzista di un'espressione che rimanda anche alla testardaggine de coccio del nero che non impara mai la lezione, oppure alla sua refrattarietà alla pulizia e alla civiltà di chi, per natura, ne è inesorabilmente escluso. Alla ricerca della lunga durata di questo motivo si è messo Federico Faloppa, ricercatore dell'Università di Reading, particolarmente attento, sia come studioso accademico che come attivista sociale, ai linguaggi che nascondono o tradiscono, portatori ciechi di usi spesso distorti, di tracce, ipotesi e suggerimenti di razzismo (suo Razzisti a parole, Laterza, 2011). Ne è nato un libro che, come dichiara preliminarmente l'autore nell'introduzione, si muove sulle orme di metodologie tradizionalissime (dalla semantica storica e comparata alla topica e metaforica, dalla paremiologia alla Begriffsgeschichte), ma parte da una velocissima ricerca su Google Books, risorsa ormai preziosissima per chiunque voglia ricostruire percorsi tematici, tracciati intertestuali e ricorrenze a pioggia. Gli strumenti, però, bisogna saperli usare, e Faloppa ci riesce benissimo nel momento in cui trasforma il libro da potenziale catalogo di curiosità erudite, come si usava nelle migliori ricerche di scuola positivista dell'Ottocento, in una riflessione culturale e politica sul razzismo dai tempi antichi fino a oggi: dall'osservazione del dettaglio lo sguardo si allarga verso la ricostruzione dello sfondo, evitando i rischi tanto di finalistiche continuità quanto di facili omologazioni fenomeniche con tendenza alla filippica ideologica. Il sogno di Michael Jackson si rivela l'ultima ed estrema sintomatologia di un'ossessione di lunga durata, codificata dal razzismo e dal colonialismo, che portava i negroes a desiderare di essere caucasians, come scriveva nel 1931 George Schuyler in Black no more, o a sentirsi "fiers de se faire blanchir", come raccontava nel 1948 Mayotte Capécia in Je suis martiniquaise: romanzi che fanno da sfondo lontano alla polemica suscitata pochi anni fa (era il 2008) dalla comparsa di Beyoncé pallida e sbiancata in una pubblicità L'Oréal. Sbiancarsi, allora, come ossessione attualissima che affonda le sue radici in uno stereotipo che riguarda neri, mori ed etiopi, e spazia dai padri della chiesa ai manifesti coloniali di fine Ottocento e inizio Novecento: san Girolamo riteneva che tutti gli uomini fossero nati etiopi (cioè nel peccato) e si potessero sbiancare lavandosi (cioè purificandosi); le illustrazioni a fumetti di Peperino nell'Etiopia italiana di Enrico De Seta (1936) mostrano dei "sudici moretti" che diventano "balilletti" in uniforme grazie al passaggio civilizzatore in una tinozza piena di acqua saponata. Dall'allegoria religiosa alla propaganda politica, la costruzione della dialettica tra "noi" e "i diversi" (e tra giusto e sbagliato) non cambia, come insegnava Hans Mayer: il diverso (l'ebreo, la donna, l'omosessuale, ma certo anche il nero, nonché il divorziato, l'esodato e così via) è chi ci costringe a metterci in discussione, cui contrapponiamo i nostri stereotipi rassicuranti. Le matrici culturali di chi definì Obama "abbronzato" non si smontano con l'idea che si trattò di una battuta, ma vanno indagate nei loro risvolti più profondi, come questo libro insegna a fare. Unendo opportunamente vocazione comparatistica e sensibilità visuale, Faloppa raccoglie testimonianze di tutti i tipi, tra cultura alta e cultura popolare (trattati, poesie, romanzi, canzoni, manifesti pubblicitari, saggi scientifici, cartoni animati, discorsi politici, fino a includere una digressione sul battesimo dell'etiope nell'arte rinascimentale e una sul sapone come strumento coloniale di civilizzazione), per dimostrare l'ideologizzazione, strisciante e progressiva, del lavaggio dell'etiope come mission impossibile di un mondo che, di fronte alla differenza, reagisce con l'omologazione anziché con la problematizzazione. Nel 1790 Thomas Beddoes, uno dei primi medici sperimentali, tentò di sbiancare il braccio di un distressed negro, immergendolo in una soluzione di oxygenated marine acide air; nel 1908 Victor Forbin annunciava su "La Nature" che si poteva sbiancare un nero esponendolo ai raggi X; ancora nel 1993 un personaggio di finzione come Naci, una ragazza algerina che vive in Francia, protagonista del romanzo Volevo diventare bianca di Nassera Chora, pensa di farsi il bagno nella candeggina per diventare come la sua amica Corinne. La metafora può veicolare l'ignoranza ma anche smascherare e liberare, come insegnava Blumenberg: capire come abbiamo letto il mondo non ci costringe a leggerlo sempre allo stesso modo. Stefano Jossa
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