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La Shoah come catastrofe non solo dell'ebraismo, ma dell'intera civiltà moderna, un antisemitismo sfociato in un antiebraismo integralista e l'ossessione identitaria del mondo ebraico costruita intorno allo Stato d'Israele sono i temi di questo saggio dai tratti autobiografici. Goldkorn, giornalista, è nato e cresciuto in Polonia nel dopoguerra. Nel 1967 subisce il nuovo antisemitismo di Gomulka e, accusato di "complotto sionista", espatria in Israele. Nemmeno lì trova requie: carcerato per dissenso politico e scelta antimilitarista, lascia il paese negli anni settanta per trasferirsi in Italia, dove oggi risiede. Goldkorn prende l'avvio dalla promessa della modernità di integrare gli ebrei nella società come individui e cittadini. E traccia un quadro analitico dell'antisemitismo moderno nelle sue molteplici forme, mostrando come i conflitti tribali inchiodino gli ebrei a un'identità oggi anacronistica. L'identità "marrana" di un ebraismo in perenne movimento ha indubbiamente facilitato l'idea di Israele come redenzione e riscatto dall'Olocausto dopo la seconda guerra mondiale. Con il passare degli anni, lo Stato d'Israele ha assunto nell'immaginazione collettiva un ruolo simbolico molto forte proprio a causa del legame tra la sua esistenza e la memoria della Shoah. L'infiammarsi di un forte sentimento di identità nazionale inasprisce oggi uno stato nel quale, soprattutto dopo l'11 settembre 2001, un antiebraismo integralista vede l'incarnazione di ogni male, costringendolo drammaticamente in prima linea. In questo scenario politico, il riferimento ad Abramo e all'Akeda si trasforma in un appello alla saggezza, non solo perché con il richiamo alla coscienza etica si chiede di abbandonare l'identità tribale per proporre una morale universale, ma anche perché contemporaneamente Goldkorn apre al dialogo, rinviando alle radici comuni delle tre religioni abramiche.
Eva Bauer Lucca
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