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Con una scansione che ne facilita la lettura e rivela la cura, oltre che la sapienza, nell'uso del materiale narrativo, il volume di Gabrielli restituisce le scritture femminili sulla seconda guerra mondiale (precisamente quelle toscane) custodite presso l'archivio diaristico di Pieve Santo Stefano. Scritture che appartengono, nella maggior parte dei casi, a "soggetti lontani dall'organizzazione politica", e che, in quanto tali, rivelano "un affresco partecipato e tragico su quel grande evento, favoriscono l'estensione e l'arricchimento dei risultati ottenuti negli ultimi trent'anni" dalla storiografia. Altrettanto rilevante è la scrittura di Gabrielli, che si sofferma su fondamentali aspetti metodologici, ma che soprattutto dialoga con la diaristica di Pieve e, più ampiamente, con le memorie e la letteratura di guerra, rivelandone il profondo e continuo intreccio tra spazio pubblico e privato, perché in questo tracimare della sfera pubblica in quella privata (e viceversa) le donne in guerra dovettero muoversi e si trovarono a scrivere: nelle maglie della scrittura si intrecciarono allora con forza la lontananza dell'amore e l'8 settembre, la mancanza di calze e la morte, la fame quotidiana e la scelta politica e partigiana, gli sfollamenti e gli stupri. La questione del corpo è uno dei temi centrali di cui Gabrielli sa rivelare gli aspetti legati alla femminilità e alla cura del sé, ma anche la preoccupazione che passasse inosservato, tanto per motivi politici (fu il caso delle staffette, che dell'invisibilità e della normalità fisica fecero una strategia) quanto per il pericolo delle violenze sessuali. Infatti, sebbene non conobbe gli stupri di massa del Lazio meridionale, la Toscana non ne restò immune, e il volume getta luce anche su questo aspetto visceralmente soggettivo e simbolicamente pubblico. Barbara Montesi
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