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La disoccupazione di massa e l’aumento della precarietà del lavoro rendono d’interessante attualità il libro di Manfredi Alberti. Gli effetti della crisi globale sembrano minare l’avanzata incontrastata delle politiche neoliberiste la fiducia nelle virtù del mercato autoregolato. Ciò induce gli storici a interrogarsi criticamente sul fenomeno della disoccupazione e della sua vicenda storica. Oggi più che mai risulta evidente trovare una chiave interpretativa, mentre sembrano mancare le soluzioni della politica. In questo libro la necessità di fare un confronto tra il presente e il passato, porta l’autore a impostare in una prospettiva diacronica il problema della disoccupazione, partendo proprio dal momento in cui nascono le prime indagini statistiche. A tale scopo Alberti non manca di esaminare gli strumenti conoscitivi mediante i quali i contemporanei si appropriano del fenomeno per comprenderlo e per fronteggiarlo. Il passaggio fondamentale dello studio è però quello di superare la contraddizione che deriverebbe dallo studio dei dati statistici in quanto informazioni sul fenomeno ‘in sé’ descritto dalla fonte nella sua ‘oggettività’, e dalle ideologie e le forme di rappresentazione del mondo attraverso la rappresentazione statistica. Contraddizione che può essere superata ricorrendo a una prospettiva dialettica e marxista, capace di cogliere l’interazione fra l’oggetto e il soggetto. E su queste premesse il libro indaga la ‘nascita’ della figura del lavoratore «disoccupato», limitando tuttavia l’indagine all’Italia tra la fine dell’Ottocento e l’età giolittiana. E con più precisione l’autore circoscrive il suo studio tra due date bene precise: il 1893, anno della nascita della Società Umanitaria di Milano, ente che diede un importante contributo nelle indagini statistiche sulla disoccupazione, e il 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, in cui s’impongono mutamenti nell’organizzazione del mercato del lavoro e nelle forme di tutela dei disoccupati.
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