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recensione di Pellini, P., L'Indice 1997, n. 2
Profondamente legato alla sua provincia friulana, Nievo è, paradossalmente (ben più di Manzoni o Verga), il più europeo dei nostri narratori del secolo scorso; o almeno, è lo scrittore italiano che incarna più fedelmente il tipo del romanziere ottocentesco: l'urgenza delle cose da dire prevale sempre, in lui, sugli scrupoli formali e ideologici; tante storie si affollano nella sua immaginazione, e lui si lascia prendere dal piacere, anzi dall'ansia di raccontarle. Il che non vuol dire che il suo stile sia trasandato: semplicemente, punta a effetti diversi da quelli cui ci ha abituato la nostra tradizione; ritroviamo nell'autore delle "Confessioni" la proverbiale "fretta" di Balzac e Dostoevskij, non l'estenuante "labor limae" che ha partorito la quarantana dei "Promessi sposi". Il problema del pubblico (per chi scrivere?) è all'origine di una poetica già delineata negli "Studi sulla poesia popolare e civile...", compresi in questa raccolta; e il dialogo serrato con il lettore è tratto caratteristico della prosa nieviana, soprattutto nel capolavoro: ha il compito di rilanciare la comunicazione, sempre affabile e transitiva (poco a che vedere con tecniche di matrice sterniana, che fingono l'appello al pubblico in funzione ludica, metaletteraria, intransitiva).
Ma il pubblico, per un autore i cui libri ebbero poca fortuna immediata, era anzitutto quello delle riviste, non di rado effimere, a volte locali, o settoriali (suoi articoli apparvero perfino sulla "Ricamatrice"), che si moltiplicavano nel Lombardo-Veneto, e soprattutto a Milano, nel "decennio di preparazione".Per Nievo, esattamente come per Balzac e poi Zola, collaborare alla stampa periodica non è solo un modo per sbarcare il lunario: gli consente di legare strettamente il suo mestiere di scrittore all'attualità politica, di alimentare il dialogo, o la polemica, con la realtà che lo circonda.Le sue prime schermaglie (sulla "Sferza" di Brescia) risalgono al 1853, quando aveva ventidue anni: il giornalismo è anche un tirocinio stilistico, che lo aiuta a liberare il suo dettato dai cascami aulicheggianti, a mettere a punto quella sintassi conversevole, quel linguaggio "medio" (che non esclude il dialettalismo), quell'ironia in sordina che ritornano nelle Confessioni.
Questi articoli svariano dalla storia delle compagnie di ventura alle ultime novità librarie, dai virtuosismi "umoristici", quasi scapigliati, firmati Todero sull'"Uomo di Pietra", a seriose, e competenti, proposte di prevenzione dei "Furti campestri"; e non manca un abbozzo di racconto picaresco, il "Gingillino in prosa". Due tematiche sono particolarmente significative: quella latamente politica (disseminata un po' ovunque) e quella teatrale (dove la fa da padrone il teatro musicale: e c'era da aspettarselo, essendo il melodramma, in quegli anni, la più alta espressione della cultura italiana). Scene da operetta si ritrovano in tutta la narrativa di Nievo, il cui immaginario si è formato, oltre che su Manzoni e qualche romantico, soprattutto su Goldoni da un lato, dall'altro su Rossini e Donizetti (sempre preferiti alla verdiana "scuola dell'effetto") - per inciso: l'interferenza di modello comico e modello melodrammatico spiega molto di quel che si è soliti chiamare umorismo nieviano.Il discorso politico riserva qualche sorpresa: se è scontata la vena polemico-patriottica, che punta il dito (censura permettendo) contro le irrazionalità dell'ancien régime austriacante non meno deciso è l'attacco all'egoismo gretto della borghesia emergente, a nuovi avari e speculatori d'ogni sorta. L'indignazione scaturisce da nostalgia per i valori della tradizione umanistica, non certo da un'analisi consapevolmente "di sinistra" della nuova realtà economica (la coerenza ideologica dello scrittore friulano è spesso labile; il valore "progressivo" di testi come il cosiddetto "Frammento sulla rivoluzione nazionale" è stato spesso sopravvalutato).In questo, Nievo è "letterato" (e anche un po' proprietario terriero); paga il suo tributo a una mentalità attardata, che per altri versi ripudia con decisione.
Questa di Sellerio, egregiamente allestita, introdotta e annotata da Ugo M. Olivieri (che insiste sulla "pluralità tonale e stilistica" favorita dal "gioco pseudonimico"), è purtroppo un'edizione parziale degli scritti giornalistici di Nievo; la cui importanza è però assicurata dal fatto che raccoglie per la prima volta i pezzi non compresi nel secondo volume dell'antologia nieviana curata da Folco Portinari per Mursia nel 1967.Integrando le due raccolte, insomma, quasi tutto Nievo è finalmente a disposizione dei lettori; che non potranno fare a meno di stupirsi, ancora una volta, del versatile attivismo di uno scrittore morto a trent'anni: dopo essere stato adolescente innamorato e grafomane, ventenne ironico fustigatore dell'amor romantico, grande romanziere ("Le Confessioni"), gradevolissimo epistolografo, e ancora discreto novelliere rusticale, modesto autore di romanzi di genere, cattivo e prolifico poeta, saggista politico farraginoso, e frattanto patriota convinto e garibaldino impenitente; non da ultimo, brillante giornalista.
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