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recensione di Spampinato, G., L'Indice 1994, n.11
Nella primavera del 1945 il venticinquenne Paul Antschel, ebreo di madrelingua tedesca nato e cresciuto nel piccolo centro romeno di Cernauti (o (Czernowitz), scampato all'eccidio della sua famiglia e alla distruzione del composito mondo di frontiera della sua giovinezza, cittadino sovietico da poco meno di un anno, ottiene un visto d'espatrio per la Romania e si trasferisce a Bucarest. Pressato dall'urgenza di dimenticare e dall'ansia di vivere, non tarda a inserirsi nell'ambiente intellettuale e artistico della città. Frequenta poeti come Caraion, Philippide, Solomon, Margul-Sperber e il vi vece gruppo del surrealismo romeno. Si innamora, anzi si fa "partigiano dell'assolutismo erotico". Lavora e traduce dal russo e dal tedesco, riportando in romeno i prediletti autori della sua lingua materna e se stesso, o, al contrario, saggiando nella nuova lingua versi che poi riscriverà in tedesco. In romeno esplora le vie della scrittura automatica, e guadagna qualche tratto di estraniata prosa poetica. A Bucarest, nel '47, pubblica i primi versi e alcuni risultati del lavoro di "retroversione" (Mincu) in cui va prendendo corpo la sua ricerca interlinguistica, adottando - anche per suggerimento dell'amico Sperber - il nome che sarà suo per sempre, Paul Celan. Al termine di quello stesso anno, la fuga a Vienna, e poco dopo a Parigi, segnerà il destino europeo del giovane poeta.
Soltanto nel 1987 Petre Solomon, testimone che ebbe parte attiva nell'apprendistato romeno, ne ha raccolto in volume i documenti; su questo lavoro si basa l'edizione italiana, curata da Marin Mincu. Se nulla è riconducibile al caso in una vita in cui il massimo grado di individuazione raggiunge l'immensa pretesa di coincidere col tempo storico, e il respiro stesso si restituisce nel cristallo del "linguaggio 'attualizato'" della poesia ("Atemkristall" è, secondo il maggiore interprete italiano di Celan, Giuseppe Bevilacqua, uno dei nuclei pulsanti dell'intera opera in versi), gli anni romeni sono stati trascurati senza ragione. Tra i poeti romeni Celan scelse i suoi primi maestri, viventi e no (il curatore ricorda Mihai Eminescu, morto nel 1889); inoltre, le esplorazioni di un sistema espressivo mai davvero posseduto prefigurano, nella grandezza di un progetto poetico che coincide con l'esistenza intera, la lingua "possibile". Eppure, la "sorta di 'esperanto linguistico'" (Mincu) attraverso cui il poeta tenta forme che negli anni maturi rigetterà con disdegno, come il poema in prosa, è estraneo del tutto alla sua "verità". Celan scrisse, a proposito di Osip Mandel'stam: "la poesia è la poesia di colui che sa parlare sotto l'angolo d'incidenza della sua propria esistenza, sa che il linguaggio della sua poesia non è n‚ 'corrispettivo verbale', n‚ verbo in assoluto, bensì linguaggio "attualizzato", sonoro e sordo a un tempo, liberato nel segno di un'individuazione indubbiamente radicale, ma nello stesso tempo, anche consapevole dei limiti che la lingua gli impone, delle possibilità che la lingua gli dischiude". A nessun poeta, dunque, è data più di una lingua, come a nessun uomo è concessa una seconda esistenza. "Gli scritti romeni" si chiudono così, in una lettera del 1962 indirizzata all'amico Solomon: "Scrivo, 'à tes bons soins', a Sperber, e gli dico, in questa lingua tedesca, che è la mia - 'et qui reste, douloureusement, mienne' -, che mi trovo... esattamente là da dove sono partito".
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