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Scrittori e finzioni d'America. Incontri e cronache 1989-99 - Daniela Daniele - copertina
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Descrizione


Il volume raccoglie le inteviste fatte a diversi autori americani, fra gli altri: Grace Paley, Don DeLillo, Mark Leyner, Kathy Acker, Jerome Rothenberg, in una campionatura rappresentativa di quella generazione postmoderna americana che ha tentato di forzare i limiti della scrittura, e di superare nuove soglie. Attorno ai discorsi personali, la storia di questi ultimi dieci anni: la fine della guerra fredda, la lingua dei nuovi immigrati dell'Est, gli interrogativi posti dalle nuove tecnologie e dalle nuove geografie dell'immaginario. Sullo sfondo New York come città multiforme: ora colta nella dimensione familiare del Village, ora rifugio per l'apolide espatriato, ora teatro di circoli musicali.
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Dettagli

2000
14 luglio 2000
165 p.
9788833912462

Voce della critica


recensioni di Corona, M. L'Indice del 2000, n. 11

Il volume è impostato su dieci interviste ad altrettanti scrittori di area postmoderna, condotte da Daniela Daniele nell'arco dell'ultimo decennio del secolo nei luoghi più disparati: dall'ovvia e necessaria Manhattan alla Palermo del Premio Mondello, dal Centro Sociale Brancaleone di Roma al salisburghese Schloss Leopoldskron, sede dal 1948 dello storico Seminario di Studi Americani. New York resta comunque lo sfondo e il crocevia metropolitano dominante per quasi tutti questi scrittori. Si va da Grace Paley, Niccolò Tucci e Mark Leyner, raggruppati in un primo blocco ("La persona del personaggio"), a Lydia Lunch, Kathy Acker e Catherine Texier ("Lulu fin-de-siècle"), a Joseph McElroy e Don DeLillo ("Tecnostorie"), a Victor Erofeev e Jerome Rothenberg ("Con l'Est che si avvicina"). Potrebbe suscitare qualche perplessità che ad aprire la serie siano Grace Paley e Niccolò Tucci, figure così diverse fra loro, e non immediatamente associabili al postmoderno, o quanto meno agli altri scrittori intervistati. Però da un lato questo non è un libro sul postmoderno in senso stretto, o sul postmoderno soltanto, e dall'altro l'efficacia dei ritratti è tale che non ci si vorrebbe proprio rinunciare. Non ho mai avuto occasione di incontrare l'ombroso Tucci, ma su Grace Paley posso garantire: la donna è evocata, in poche righe, con la stessa immediatezza e persuasività con cui viene individuata la cifra stilistica della scrittrice.
L'aspetto peculiare del libro è che ci mette in presa diretta con la più immediata contemporaneità, temporale e spaziale, dentro a una simultaneità di rappresentazioni che, proprio perché si è andata accentuando in questi ultimi anni, Daniele esplora con giusta insistenza, venendo così ad aggiornare e a integrare ottimi lavori sul postmoderno per così dire classico, fra i quali mi limito a ricordare alcuni avamposti: un numero monografico della rivista "Calibano" (1982, n. 7), La finzione necessaria di Guido Carboni (Tirrenia, 1984), che Daniele riecheggia nel suo titolo, le due raccolte Postmoderno e letteratura (a cura di Peter Carravetta e Paolo Spedicato, Bompiani, 1984) e Narrativa postmoderna in America (a cura di Cristina Bacchilega, La Goliardica di Roma, 1986).
Il ricorso all'intervista mirata ci riporta invece al libro e al modello non dimenticato di Marisa Bulgheroni Il nuovo romanzo americano 1945-1959 (Schwarz, 1960, da ristampare al più presto), con un'innovazione importante. Qui l'intervista provvede la base per la costruzione di una struttura critico-narrativa sfaccettata, poliedrica ed essenzialmente relazionale, che rispecchia nitidamente l'oggetto considerato: il postmoderno di oggi, appunto. La molteplicità e la mutevolezza dei punti di vista, delle occasioni, degli incontri e delle schivate, sono assunte da Daniele come principio strutturale del proprio libro e dell'operare critico ad esso sotteso. Ciò comporta, in prima istanza, l'auto-presentazione e il posizionamento della voce narrante, e il suo necessario incrociarsi con il tempo, il luogo, il personaggio e le opere, e questo produce effetti mobili e cangianti. D'altra parte, il prologo generale e le introduzioni alle quattro parti in cui sono raggruppate le interviste provvedono un robusto quadro di riferimento nel quale compaiono, oltre ai padri fondatori del postmoderno americano, interessanti compagni di strada come Burroughs, Ballard e Dick, tutti ingaggiati in uno strenuo confronto con le nuove tecnologie che alla fine sembra lasciar emergere "un'estetica non più estranea od ostile all'automazione".

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