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Nel novembre 2000, l'Ispo (Istituto per gli studi sulla pubblica opinione) svolgeva per conto di Poste Italiane un'inchiesta sul rapporto tra gli italiani e lo scrivere lettere. L'11 per cento degli intervistati dichiarava di dedicarsi alla corrispondenza epistolare almeno una volta al mese, il 9 per cento ogni due-tre mesi; tra i 18-29enni, l'8 per cento diceva di scrivere tutti i giorni o quasi lettere personali ad amici o parenti o conoscenti, il 9 per cento e-mail (il 39 per cento messaggi con il cellulare).
Oggi, dall'indagine Istat sulla Vita quotidiana nel 2007, apprendiamo che tra le persone connesse a Internet (il 37 per cento degli italiani con più di sei anni), più di tre quarti ha utilizzato la rete per comunicare tramite posta elettronica, quasi un terzo tramite altre forme come le chat. Nello stesso anno, come attesta il rapporto del Censis, il telefono cellulare ha raggiunto un indice di penetrazione complessiva pari all'86,4 per cento e ormai le funzioni "telefonare e mandare brevi messaggi di testo" vengono considerate un tutt'uno. Delle lettere non si ha più notizia.
Caro amico ti e-scrivo
Sulla base di questi dati, non si può che convenire con quanto scrive Petrucci nella sua premessa: "La definitiva scomparsa della lettera tradizionalmente intesa è certamente vicina. Dunque è giunto il momento di narrarne la storia plurimillenaria". E di farlo, va aggiunto, come solo un maestro del suo rango poteva: muovendosi con disinvoltura in una documentazione vastissima (due millenni e mezzo, almeno sette lingue tra antiche e moderne) sintetizzata con acuta intelligenza e offerta al lettore con il gusto contagioso di chi ama le cose che racconta.
Eppure, da quegli stessi dati, risulta evidente che allo stato attuale il diffondersi della comunicazione telematica ha significato una netta rivincita per la scrittura. Da quando la corrispondenza in simultanea è diventata una realtà alla portata di (quasi) tutti, si è verificato un clamoroso ritorno alla comunicazione privata per iscritto, che sta dando vita a diverse e fortunatissime forme di neoepistolarità tecnologica. Moltissime persone che non avrebbero scritto un rigo, oggi producono una mole impressionante sia pure frammentaria e quasi atomizzata di testi digitati.
Cambiano le modalità di scrittura, di lettura, di trasmissione, ma non viene meno (anzi spesso appare esaltata) la componente più profonda della grammatica epistolare; quella legata per usare un'espressione cara a Petrucci all'intimo bisogno di "scriversi". Quella, per intendersi, che fin dall'antichità concepisce la lettera familiare come una conversazione tra assenti e per questo si affida a strategie espressive mirate ad accorciare la distanza tra mittente e destinatario (simulando l'andamento del parlato, accentuando la componente dialogica, caricando la lingua di elementi enfatici o ludici).
Feticismo epistolare
"Morte e trasfigurazione", recita il titolo dell'ultimo capitolo. Vista con gli occhi di un paleografo, la caduta della "cortina di carta" (così chiamata per analogia con quella della "cortina di pergamena", che ai primi del Cinquecento rende molti europei "liberi di scrivere") rappresenta soprattutto il sostituirsi di una scrittura immateriale a una "pratica materiale costituita di materie, di strumenti e di tecniche fra loro diversissimi", ma accomunati da una fisicità che per secoli è stata parte integrante della comunicazione.
A perdersi è innanzi tutto l'unicità dei caratteri ("Il cor mi balza vedendo i tuoi caratteri", Paganini), base di quel feticismo epistolare che porta a intendere la lettera come incarnazione della persona amata. Ma il galateo epistolare aveva a lungo riservato grande importanza anche ad aspetti che oggi giudicheremmo esteriori, come le "soprascritte" (cioè gli indirizzi) o lo spazio bianco lasciato tra l'intestazione e l'inizio della lettera (la cui ampiezza, almeno fino al Settecento, doveva essere direttamente proporzionale all'importanza del destinatario).
E molti aspetti relativi alla confezione del testo (la carta: "Veggo che non siete provveduti di buona carta da scrivere", Gabriele Rossetti; il sigillo: "Un'altra volta non mandarmi le lettere aperte senza suggello", Porta; la penna: "Ho scritto con una penna bestiale", Monaldo Leopardi; l'inchiostro: "Scusi i due colori colpa dell'aver principiata la lettera in casa Prini e terminata alla locanda", Costanza Arconati) continueranno a mantenere un loro rilievo anche quando la lettera ancien régime evolverà nella moderna "lettera borghese", i cui tratti salienti si assestano definitivamente intorno alla metà dell'Ottocento.
Le mani tinte d'inchiostro
"È in questo decisivo periodo, compreso fra la Rivoluzione francese e lo scoppio della prima guerra mondiale, che la corrispondenza scritta si trasformò da fenomeno sostanzialmente singolare, occasionale e in qualche modo controllabile, in un fenomeno socioculturale funzionale e strutturale rispetto allo sviluppo culturale ed economico della nuova società industriale".
Fatte le dovute proporzioni, un fenomeno paragonabile si era verificato tra la fine del XIII e il XIV secolo, quando "i mitici mercanti toscani, lombardi, veneti" avevano trasformato "in pochi decenni la nuova lettera in volgare in un moderno, agile e multiforme strumento comunicativo" (scriverà l'Alberti che il mercante doveva "sempre avere le mani tinte d'inchiostro"). Tra Due e Quattrocento, si registra in Europa una produzione di corrispondenza privata da parte di mittenti non colti così abbondante da ricordare "il fenomeno analogo già verificatosi molti secoli prima nelle città e nei borghi del Mediterraneo di età classica". Inevitabile l'accostamento tra la fitta corrispondenza del mercante Zenone (morto in Egitto nel 229 a.C.) e lo sterminato archivio facente capo al mercante pratese Francesco Datini (1387-1405), epistolografo instancabile: "Sono 6 ore ed ò anchora a schrivere a Simone e a Tomaxo di ser Giovanni: e pure si vorebe un pocho dormire".
La storia siamo noi
Il primo corpus consta di 260 lettere, il secondo di 125.000 (l'intera banca dati è consultabile ora all'indirizzo http://datini.archiviodistato.prato.it/www/): ma è chiaro che l'importanza, anche quantitativa, dei giacimenti va rapportata alla distanza cronologica. Quando Petrucci riporta il giusto lamento di Carlo Dionisotti per l'eccesso di edizioni dedicate a carteggi otto-novecenteschi, non fa che sottolineare la questione del valore del documento in rapporto alla disponibilità di testimoni.
Una questione che si ripropone oggi con grande urgenza di fronte all'immensa mole di corrispondenza elettronica implacabilmente archiviata giorno per giorno nei nostri pc. Ben lungi dall'essere effimera, la corrispondenza digitale presenta il problema opposto: l'eccesso di conservazione, tipico di una società che libera dall'ingombro della carta invece di cogliere l'attimo, si ostina a registrarlo e a metterlo indiscriminatamente agli atti (è più o meno quello che sostiene Maurizio Ferraris nel suo Sans Papier. Ontologia dell'attualità, Castelvecchi, 2007).
Il progetto E-mail Britain, promosso nel maggio 2007 dalla British Library in collaborazione con la Microsoft, mirava a raccogliere un milione di messaggi divisi per tema: già il primo giorno le mail ricevute erano diverse migliaia. Alla fine, proprio come in questo libro affascinante, le lettere dei personaggi noti si mescoleranno a quelle firmate da nomi anonimi, in cui pure è racchiusa una scheggia di storia, se è vero che come cantava De Gregori "la storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere". Giuseppe Antonelli
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