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Breve libretto con brani di acuta osservazione che si alternano a passi pseudo-filosofeggianti, un po' lenti. Una lettura gradevole ma non entusiasmante.
Mi sarei aspettata un finale diverso dopo il lungo monologo che fa, ovviamente riflettere, ma anche arrabbiare.
Carino. In alcune parti divertente e ironico in altre un po' noioso.
Recensioni
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Qualcuno sostiene che fare il genitore sia un mestiere “impossibile” e che il miglior genitore che ti possa capitare sia quello pienamente consapevole del fatto che il suo ruolo è, appunto, impossibile da sostenere. In fondo è una questione di autorità e di capacità di farsi ascoltare senza per questo invadere gli spazi, senza prevaricare, senza imporre il proprio punto di vista, senza sembrare arroganti, o troppo pesanti, o maturi, o pieni di sé, più esperti, più ricchi, più potenti. Senza sembrare genitori, insomma.
Il grande paradosso con cui si confronta in questo libro, un po’ romanzo e un po’ diario, Michele Serra, giornalista e autore televisivo, opinionista e opinion leader di un’intera generazione di ex giovani promettenti e ribelli, è proprio questo: è possibile riuscire a partecipare alla vita dei propri figli adolescenti? Magari senza farne parte pienamente, senza farsi includere nelle conversazioni e nei progetti, ma almeno farsi inquadrare nel loro spettro visivo? Attirare per un attimo la loro attenzione?
Suo figlio “Tizio”, come lo chiama l’autore, è il classico adolescente diciottenne. Michele Serra passa molto tempo ad osservarlo, senza destare per altro la minima reazione, cercando di comprendere la sua natura intrinseca, senza mai arrivare a una verità consolidata. Forse si avvicina un po’ a cogliere la sua essenza un pomeriggio in cui racconta:
«Eri sdraiato sul divano, dentro un accrocco spiegazzato di cuscini e briciole. Annoto con zelo scientifico, e nessun ricamo letterario. Sopra la pancia tenevi appoggiato il computer acceso. Con la mano destra digitavi qualcosa sullo Smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un würstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. La televisione era accesa, a volume altissimo, su una serie americana nella quale due fratelli obesi, con un lessico rudimentale, spiegavano come si bonifica una villetta dai ratti. Alle orecchie tenevi le cuffiette, collegate all’iPod occultato in qualche anfratto: è possibile, dunque, che tu stessi anche ascoltando musica». Il risultato è una strana “evoluzione” della specie, in cui il genere umano come lo abbiamo conosciuto finora, compresa l’avanguardia di sinistra borghese dell’autore, assiste inerme alla proliferazione dei terminali ricettivi degli adolescenti. Occhi, orecchie, sensi, polpastrelli, ricevono quantità di dati eterogenei e di dubbia provenienza, dando in cambio il nulla. Zero dialogo. Zero dialettica. Zero attività. Sono sdraiati, incapaci di portare a termine qualsivoglia lavoro. Senza chiudere mai il cerchio delle loro vite, aprono gli armadi, i cassetti, le porte, senza richiuderli, tirano fuori una bottiglia dal frigo senza riporla, aprono mille finestre senza mai uscirne. Per la prima volta nella storia del mondo i vecchi lavorano e i giovani riposano.
Mano a mano che la scrittura va avanti, descrivendo scene avvilenti di vita quotidiana a di reciproca ignoranza, dallo shopping in centro alla vendemmia nelle Langhe, Michele Serra immagina di scrivere il suo grande romanzo inedito dall’impianto epico che impegnerà gli ultimi anni della sua vita, La Grande Guerra Finale, quella tra vecchi e giovani, una grandiosa epopea bellica che vedrà scontrarsi i numerosissimi vecchi, più resistenti e risoluti, e i pochi sonnolenti giovani in una guerra all’ultimo sangue. Prima che la battaglia abbia inizio e che la sua generazione perisca sotto la spinta di questi nuovi organismi mutanti, Serra coltiva un unico grande desiderio: vuole che suo figlio lo segua in una scalata al Colle della Nasca, una cima brulla e spazzata dal vento di tremila metri, un vecchio sentiero di montagna che lui faceva sempre con suo padre. Forse è il desiderio di essere sorpassato su quella cima ad ossessionarlo, o soltanto il bisogno impellente di cambiare prospettiva e di sdraiarsi, per una volta, mentre suo figlio incombe alto su di lui.
Gli Sdraiati è un libro tenero e struggente, in cui la consueta ironia e la forza satirica di Michele Serra si alterna a momenti di grande nostalgia e lirismo.
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