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1998
400 p.
9788835943594

Voce della critica


recensioni di Flores, M. L'Indice del 1999, n. 02

La necessità di fare i conti con la storia del secolo che si sta per concludere accomuna in questi anni storici ed editori: i primi tesi a riflettere su interpretazioni e ipotesi che permettano di decifrare il senso profondo di questi ultimi cento anni, i secondi intenzionati a sfruttare una così ghiotta occasione cronologica per rilanciare un genere (la storia generale, le grandi sintesi) che ha perennemente bisogno di rinnovarsi.

La proposta interpretativa diCarlo Pinzani pubblicata da Editori Riuniti si situa nella scia delle storie politico-ideologiche in cui il filo conduttore è rappresentato dalle vicende della politica internazionale e dai rapporti fra le grandi potenze.Vi è lo sforzo d'inquadrare questa narrazione in uno schema che, pur largamente debitore alle suggestioni storiografiche di Hobsbawm, se ne distanzia sul versante non secondario della periodizzazione.È infatti alla seconda metà dell'Ottocento che Pinzani fa risalire i tratti sostanziali della modernità (crescita demografica e sviluppo del pensiero politico democratico), vedendo già allora sufficientemente delineati "i protagonisti ideologici del nostro tempo".

Accanto alle più consuete contrapposizioni tra capitalismo e socialismo, democrazia e comunismo, Pinzani introduce "quella tra i sostenitori dei valori universali della libertà e dell'eguaglianza, da un lato, e quanti sostenevano i valori dell'appartenenza etnica, ignorando l'antidoto che contro di essi rappresenta il principio della fratellanza degli uomini".L'attenzione al problema "nazionale" è troppo filtrata, tuttavia, dalle interpretazioni che se ne sono date (quella marxista in maniera particolare) e dal modo in cui è stato vissuto dai movimenti politici per poter diventare occasione reale di un ripensamento della storia del secolo.

Se la prima guerra mondiale non è vista come la fine di un'epoca, perché non introduce novità fondamentali nelle tendenze generali delle società capitalistiche, l'accelerazione che comporta aumenta le difficoltà a governare la società di massa, avendo come effetto quella "guerra civile europea" che anche per Pinzani costituisce lo schema interpretativo più consono a comprendere il periodo fra le due guerre mondiali.Le interessanti osservazioni sul nuovo "internazionalismo", di cui in modo difforme, ma parzialmente convergente, sono interpreti Wilson e Lenin, introducono all'idea che siano proprio Usa e Urss i grandi protagonisti - e innovatori - di questo XX secolo.Insieme alla "degenerazione" dei sistemi politico-economici contrapposti di cui nazismo e stalinismo sarebbero l'esempio più compiuto e dimostrato.

Questa idea della degenerazione impedisce di cogliere i tratti di novità che emergono negli anni venti e trenta, riproponendo tanto per le esperienze fasciste che per quella in corso nell'Urss i giudizi storiografici sedimentati negli anni settanta dalla storiografia vicina al
comunismo italiano.Pur sottolineando il ruolo che la "paura" dei ceti medi giocò nella vittoria del fascismo e del nazismo, il primo rimane un "regime autoritario di massa"; mentre il secondo testimonia la rapidità con cui la società tedesca "conferma sia la continuità tra le forme ottocentesche di protofascismo sia la potenza aggregatrice e mobilizzatrice del richiamo all'appartenenza etnica", costituendo così "una delle conferme più evidenti della chiave interpretativa qui usata per la ricostruzione della storia del XX secolo".

Questo ribaltamento di prospettiva - per cui la storia è raccontata e selezionata per dimostrare la giustezza della propria interpretazione - induce così a privilegiare il giudizio negativo sul nazismo ("la più grande aberrazione della storia di questo secolo", "la più evidente riprova che la totale eliminazione dei valori della ragione e della fratellanza hanno un enorme potenziale distruttivo della convivenza tra i popoli"), sulla comprensione del consenso e del successo che ebbe.

La seconda metà del secolo è interpretata cercando di inserire un elemento nuovo nel quadro di quella contrapposizione globale tra capitalismo e socialismo che si manifestò nel conflitto tra le due superpotenze e nella guerra fredda: l'autoinganno.Il modo in cui Usa e Urss si percepirono (se stesse come grandi potenze e l'avversario come "nemico" mortale) fu certamente cruciale per le forme che assunse il loro conflitto; vedere però nell'autoinganno "il motore principale della contrapposizione globale" impedisce di analizzare e descrivere i caratteri assunti dai due "imperialismi" della seconda metà del secolo: non solo i loro rapporti reciproci, ma quelli con i propri alleati e subordinati e con il resto del mondo.

Pinzani sottolinea più volte l'importanza del processo di decolonizzazione, anche se è soprattutto il punto di vista americano e sovietico che costituisce il filtro per guardare alle vicende dei popoli e degli Stati ex-coloniali.Pur criticando l'eurocentrismo di tanta storiografia, l'esame delle vicende storiche dell'Asia e dell'Africa è finalizzato alla comprensione della politica internazionale delle grandi potenze o all'analisi delle contrapposizioni ideologiche.Perfino nelle pagine dedicate agli anni attorno alla prima guerra mondiale non vi è alcuno spazio per una disamina autonoma del mondo extraoccidentale ed extrasovietico: Enver Pascià, il principale ispiratore del genocidio degli armeni inTurchia, compare soltanto, come anche Kemal Atatürk, per richiamare l'attrazione che la rivoluzione russa esercitò sul mondo islamico.

La centralità del confronto/
scontro tra Usa e Urss induce a ridimensionare anche i tratti originali del comunismo cinese e di quello asiatico: la rivoluzione culturale diventa sostanzialmente una tardiva ripetizione dell'esperienza staliniana anche se con una maggiore presenza degli elementi nazionali e sciovinisti, mentre Pol Pot non viene neppure citato.Pinzani insiste più volte, al contrario, sull'esistenza in Urss e nel movimento comunista internazionale di forze che spingevano a ricollegarsi con la tradizione socialdemocratica: lo stesso Gorbacev è considerato propugnatore di idee "intrinsecamente socialdemocratiche".

È proprio nell'analisi della crisi e del crollo del comunismo che si evidenzia l'infecondità di ogni approccio ideologico alla storia del secolo.Pur ammettendo la necessità di "prendere atto dell'inadeguatezza della risposta che quel sistema [di valori sul quale era fondata l'Urss] ha complessivamente fornito alla nostra epoca", si riconosce con Furet che il leninismo è stato un'illusione ma anche che "è certamente altrettanto illusorio chiedere abiure a chi vi ha creduto, dal momento che dalla presa di coscienza del fallimento del comunismo non consegue necessariamente la convalida complessiva e automatica dei valori che vi sono contrapposti".Il confronto storiogra-
fico avviene allora con le tesi, prese estremamente sul serio, diFrancis Fukuyama; mentre si sottolinea che il formarsi di partiti su base etnica nel blocco ex-comunista non può essere valutato come un progresso della democrazia.

L'impronta del presente, che avrebbe voluto valorizzare maggiormente alcuni aspetti (come quello etnico) che si dipanano lungo l'intera storia del secolo, sembra purtroppo adombrare una velata nostalgia per quelle contrapposizioni ideologiche che s'illudevano di spiegarne coerentemente le vicende.

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