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Ci sconcerta la conversione metonimica operata da Bernard-Henri Lévy. Per quanto Sartre sia stato "uno dei più grandi in fatto di scienza, letteratura e arte", se solo vogliamo dar credito a Claude Levi-Strauss, suo nemico storico, pensiamo azzardata la riduzione di un intero secolo a questo autore.
Ci aveva provato con un discreto successo Annie Cohen-Solal negli anni immediatamente seguenti la morte di Sartre a delineare una biografia completa e attendibile dello scrittore. Ma l'impronta dichiaratamente sociologica appesantiva la scorrevolezza del testo rendendo la lettura alquanto noiosa. Di diversa fattura è invece il libro di Bernard-Henri Lévy, in esso si respira un'aria marzolina commista a un'ironia di fondo che pervade ogni pagina. D'altra parte Lévy non deve sottolineare come Cohen-Solal, quasi a giustificarsi: "Ho cercato di essere...elegante come una vera scrittrice". Lévy è uno scrittore di gran talento e ne è consapevole. Il libro di Lévy non è solo il racconto delle stagioni della vita di Sartre, del suo pensiero o delle aporie insite in esso, ma come sottolinea l'autore. "l'incontro di tutti i modi di attraversare il secolo, di perdervisi, di evitarne le chine oscure, e d'impegnarsi, adesso, nel successivo". (Il secolo di Sartre, Milano, Il Saggiatore, 2004, 15). Di Sartre si dirà ieri "E' morto un uomo giovane...Quel vecchio era il nostro giovane" (ivi, 522) e Sartre, immaginiamo, risponderà: "Sai,...un morto somiglia a qualcuno che dorme. Non è così terribile, via, quel che è terribile è che sia morto". (Siegel L., La clandestina, Roma, Lucarini, 1988, 146).
Il fascino incredibile di seguire le evoluzioni, passioni, cadute, le grandi idee e le grandi sciocchezze di cui sono capaci solo poche persone nell'arco di un secolo. Levy ci ripropone un Sartre integrale seppure dimidiato tra tensione alla libertà assoluta e adesione ad un pensiero totalitario e liberticida. Imperdibile, anche per non perdere la ricchezza di un filosofo semidimenticato.
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