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Anno edizione: 2017
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Perché La passeggiata di Robert Walser dia subito una tale impressione di straordinaria altezza poetica, non è facile spiegarlo. Bisognerebbe dedicarsi a una ricognizione, tanto paziente quanto faticosa, attraverso l’intera opera dello scrittore, arruffata e discontinua per gli stimoli razionalmente mal conciliabili. Walser così riconduce per mano il lettore alle proprie origini, pettinando via alla vita i suoi nodi, i suoi garbugli e restituendole il colore degli alberi, l’ombra del bosco, il profumo dei fiori e dell’acqua, la nostalgia, i rimpianti, il profilo di una donna eterea e lontana che si chiama Felicità e che, fragile, suona del fruscio di foglie secche in autunno. Libro meraviglioso, ve lo consiglio.
Fra tutti i libri di Walser che ho letto finora, questo è quello che mi ha colpito di meno. Carino, svagato, contemplativo, a tratti interessante, ma avendo riunito in un volume solo una serie di scritti simili (con l'eccezione di "Vita di un pittore", ispirata al fratello) finisce per diventare ripetitivo oltre la misura di ripetitività intrinseca al suo modo di scrivere. Ed è comunque sempre Walser: a tratti ironico - spesso autoironico riguardo alla propria tendenza a vagabondare e a non fare nulla - e così appagato dai familiari panorami svizzeri da non sentire il bisogno di panorami nuovi e diversi; e ben presente nell'Hans parecchio autobiografico dell'ultimo racconto, che, pur difendendo con convinzione la sua scelta di vita di bighellone, verrà "salvato" dallo scoppio della guerra e dalla chiamata alle armi, a cui si sottoporrà di buon grado e anzi con slancio, assecondando quel "bisogno di servire", di abbandonarsi completamente alla volontà altrui che emerge con forza in altre opere. Consigliato a chi di Walser ha già letto altro.
Elegia del vagabondare, del perdersi, del guardare, del sentire come il fuori pian piano penetri nel dentro con la sua instabile somma di momenti, stupori, e tradurre tutto questo in lunghe istantanee della coscienza. Forse non fece che questo Robert Walser per tutta la sua vita, abitare la reclusione della libertà col sentimento di una gita aperta al tutto, e qui, in questo libro, ogni minima zolla del suo magnifico animo vibra e dona alla lettura la verità della sua intera poetica. Se mai ci fu uno straniero a se stesso in letteratura, un estraneo alle grinfie del reale, un soldato dello stupore puro, questo fu lui. Egli stesso ammise di non aver una natura sociale, e fu proprio questo lo scotto pagato per la sua scarsa notorietà, quest'arretrare scelto da subito come trama e cammino dei suoi giorni: "Una valigia è tutta la casa che abito in questo mondo". Seeland è l'ennesima conferma del suo ritratto interiore, del suo spirito solitario, lontano, e raccoglie delle prose che definire incantevoli è appena un sussurro. Un vagare, nient'altro che un vagare, ma con logiche e sentimenti pregni di quella poesia straordinaria che solo certi viandanti apparentemente pazzi o discinti o bislacchi riescono a rendere credo e pagina nel solco della scrittura. Ci si perde fra sentieri e tratte oscure, volontà di sparire, di farsi finalmente ombra se non - come lui stesso si vedeva - "cenere". Non casualmente finì volontariamente per scegliere una casa di cura per malattie nervose come posto dove andare a trascorrere un lungo periodo della sua vita, fino poi al ricovero in sanatorio e ai suoi ultimi giorni. Cercava la trasparenza definitiva e a suo modo la trovò, cercava l'ombra, l'anonimato, i nobili arpeggi del vivere di lato, e li ottenne tutti. E morì esattamente com'era vissuto, da errante passeggiatore rapito dalle mani della neve,in un freddo pomeriggio di Natale.Leggere i suoi scritti è una gioia,sono stille di un cuore trascurato posate in fretta sui bordi della vita.
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