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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2006
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Si può fare filosofia terra terra? Direi proprio di sì, leggendo questo libro. Il libro comprende una serie di raccontini, già apparsi in parte sulle pagine de <em>La Stampa</em>, dove i personaggi si trovano in situazioni paradossali e che però in un certo senso sono logicamente possibili. Occhei, non esiste un'ameba che dopo la scissione vede entrambe le nuove cellule rivendicare il diritto ad essere quella originaria, né esiste l'Isola delle Quattro Stagioni, che non è a forma di pizza ma è stata costruita sull'equatore e sulla linea di cambiamento di data. Però concettualmente possono esistere, e ci fanno notare che le nostre "certezze" sono problematiche. La cosa bella - o brutta? - è che non ci sono discussioni: si presentano semplicemente queste storie. La cosa sicuramente bella è che i racconti sono davvero piacevoli.
questo libro apre la mente e la sveglia con semplici paradossi, su cui è piacevole riflettere. un ottimo esercizio per chi già 'ragiona', un ottima iniziazione alla filosofia per chi non ha ancora avuto il piacere di assaggiarla. molto istruttivo,anche, nella misura in cui riprende teorie di filosofi importanti come wittgestein e le divulga attraverso la voce di una commessa. complimenti agli autori e...leggetelo!
Recensioni
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In uno dei suoi molti tentativi di definire la differenza tra filosofia analitica e filosofia continentale, Richard Rorty ha puntato alla distinzione tra solving problems e telling stories: i filosofi analitici risolvono problemi, quelli continentali raccontano storie (Analytic and transformative philosophy, un saggio del 1999). Tutte le distinzioni di questo tipo messe a punto da Rorty e da altri in epoche più o meno recenti sono problematiche e difettose, ma questa credo sia particolarmente sbagliata. Non è difficile notare che i filosofi analitici allo scopo di risolvere problemi spesso raccontano (micro)storie (per esempio i cosiddetti esperimenti mentali), e non è chiaro se davvero conti di più la soluzione o la storia che la esemplifica; né è difficile riconoscere che i filosofi continentali (usando questo termine nel modo in cui lo usa Rorty) per lo più raccontano (macro)storie allo scopo di risolvere certi (macro)problemi, e non è chiaro se conti di più la soluzione o la storia narrata. Dunque, se mai la differenza sta nel tipo di storie e nella natura dei problemi, e comunque sembra più irreparabile per altre ragioni, che non per questa peraltro interessante divergenza stilistica.
Una pronunciata tendenza all'aneddoto, alla breve esemplificazione narrativa, è in particolare avvertibile in molta filosofia analitica recente. Le ragioni di ciò si possono riportare in parte a una certa voglia di rompere i confini del linguaggio specialistico, e di misurarsi così con la filosofia continentale sul terreno che per convenzione si ritiene proprio di quest'ultima (la comunicazione extra-accademica); in parte vanno ricondotte all'esigenza di rendere chiaro un discorso che ha raggiunto livelli di astrusità notevole, ma in fondo non ha mai perso i rapporti con una realtà comunemente condivisa. Ma, soprattutto, credo che questa tendenza faccia capo anche alla volontà di riconfermare certi requisiti (forse i migliori) della tradizione di pensiero anticipata da Frege, e che nasce con Russell e Moore nei primi anni del Novecento.
È nella natura stessa del tipo di filosofia che oggi si chiama analitica il doversi misurare sistematicamente e anche un po' ossessivamente con l'esemplificazione, e con certe evidenze che "urtano" proprio in quanto fatte di cose, colori ed eventi, personaggi e avvenimenti. "Per ogni tesi occorre un esempio" è una vecchia regola canonica (alcuni si sono chiesti naturalmente se questa tesi avesse dalla sua qualche esempio), che percorre tutti i testi analitici: ma gli esempi spesso sono piuttosto articolati, includono personaggi e situazioni, ipotetici mondi e strani paesi, e tendono così a prendere il sopravvento. Nei testi di Wittgenstein si esprime una vera e propria poetica dell'esemplificazione e della micronarrazione; l'idea stessa di "mondi possibili" che ispira un'ampia corrente della riflessione analitica contemporanea ha ovvie affinità di principio con la letteratura fantastica; più in generale: ormai ognuno sa che il mondo analitico è popolato di gente che ha trasferito il proprio cervello ad altri corpi, o crede di essere soltanto un cervello collocato in una vasca di liquido fisiologico, o che vive su strani pianeti gemelli del nostro, o sospetta di essere nata insieme al mondo, con tutti i suoi ricordi e i suoi pensieri, tre minuti fa.
La raccolta di trentanove storie di Roberto Casati e Achille Varzi, Semplicità insormontabili, è un brillantissimo esercizio di questo genere di scrittura filosofica. A vantaggio del lettore non filosofo, qui le storie sono "solo" storie, nel senso che le loro implicazioni filosofiche sono ben evidenziate, ma senza infliggere a chi legge la discussione dettagliata di tutto ciò che potrebbe derivarne. Ecco alcuni esempi. La Terra ha un solo satellite naturale? Falso, c'è una società che mette in orbita satelliti della Terra, ma "naturali", perché si tratta di comunissime pietre, prelevate nel letto di un fiume: in quale misura questi satelliti artificiali sarebbero (o non sarebbero) naturali? Il sonnifero Zombie ha la pregevole proprietà di eliminare la coscienza, lasciando intatte tutte le altre facoltà: chi ne fa uso dunque può dormire tranquillamente, pur continuando a vivere come se fosse sveglio e ad avere interazioni normali con gli altri (presto si scopre che una grande quantità di gente ne fa uso). Nella clinica Zoom vengono applicate le seguenti tariffe per trapianti di cervello: il donatore paga un milione, mentre chi riceve il nuovo cervello, al tempo stesso riceve anche un milione. Perché mai? Ovvio: perché il ricevente non riceve un bel nulla, è il donatore che in realtà riceve un corpo nuovo. Ci sono poi blocchi di granito che includono infinite riproduzioni del David di Michelangelo, enunciati che parlano diffusamente di se stessi, o dichiarano il proprio non essere se stessi, e domande infantili e abissalmente difficili (perché gli specchi riflettono destra/sinistra e non sopra/sotto?) che trovano ragionevoli e strampalate risposte.
Molte delle storie (o dialoghi, o scambi epistolari) sono già state pubblicate da Varzi sulla "Stampa", e dunque si è già avuto modo di apprezzarne il particolare e sottile umorismo: una straordinaria disinvoltura ed eleganza nel pensiero, che riesce a non evitare mai il divertimento, anche di fronte ai grandi interrogativi (ma quanto grandi? Ovvio: 22,04 cm). Qui i trentanove pezzi sono legati da brevi commenti, che dovrebbero spiegare ciò di cui si tratta (un po' al modo dei sommari in certi romanzi del Settecento inglese), e scandire tematicamente diverse sezioni (sugli enigmi della causa, del tempo, dell'identità personale, della responsabilità, ecc.). Attraversano poi tutto il libro certi personaggi-chiave: gli sventati entusiasti, i furbissimi, i furbi-stupidi, gli indignati, i perplessi. C'è infine il Ficcanaso, dotto e un po' saccente, interprete intempestivo del senso comune, a volte altruisticamente impegnato a far sì che gli sciocchi non perdano troppo tempo e troppi soldi, altre volte incline a distruggere i giochi altrui, mescolando le carte, insinuando dubbi.
I perplessi, nel libro, sono i veri depositari della ragione: la loro incertezza dà origine a ciò che gli autori chiamano, usando curiosamente un'espressione quasi-hegeliana, una "tensione concettuale". Ed è di qui, da questa tensione, ci viene detto, che "nasce la filosofia".
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