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A cavallo tra la cultura elvetica e quella italiana, Hindermann ha nutrito i suoi versi di apporti dal tedesco, dal francese e dall’inglese, grazie alla frequentazione assidua delle diverse letterature e alle esperienze lavorative in Germania e in Inghilterra. Le sue poesie evidenziano eredità culturali che dagli ermetici risalgono a Dante, e si nutrono di apporti filosofici e scientifici. Un’attenzione particolare è riservata alla natura, nei suoi elementi vegetali e animali, indagati e nominati con estrema precisione. Uccelli e insetti, con la loro alata e quasi angelica leggiadria, con la loro effimera, gioiosa e colorata esistenza, abitano i versi come messaggeri simbolici di significati “alti”, di doti morali: farfalle coccinelle libellule, fringuelli allodole e pettirossi. Piccoli abitanti dei boschi e dei campi, celebrati nell’ immersione innocente della loro fisicità. Un rapporto ancora più empatico, di intenso legame affettivo e di reciproca dipendenza, lo lega ai gatti, regali, flessuosi e indipendenti inquilini del tepore domestico. I versi sono nutriti di poche parole, di scarsi colloqui (“quanto silenzio bisogna / aver ascoltato, quanto cielo negli occhi”), e invece pieni di sguardi, lunghi attenti e meditativi, che sanno transitare dall’osservazione incantata di un particolare a una riflessione più filosofica, cosmica, dall’impronta religiosa. La scrittura di Hindermann non sollecita nessuna confidenza, rimanendo algidamente classica, ponderata, discreta; pur nella linearità dello stile sa farsi abissale, concentrandosi nello scavo semantico e nell’interrogazione sospesa sul mistero dell’inspiegabile, del non misurabile, del tragicamente necessario: “Sull’uscio di casa, / appena giunto sull’uscio / già mi conturba il mondo”. La voce del poeta, sempre controllata a evitare sbavature emozionali, piena di una solennità asseverativa, è però anche pacata, ricca di pietas, capace di adeguarsi all’esistente, mantenendo però una sua orgogliosa alterità.
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