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Negli ultimi decenni la fortuna storiografica dell'età giolittiana è andata scemando, fatto dovuto anzitutto a una minore attualità di quell'epoca, che non appare più un momento anticipatore dei possibili sviluppi della vita politica odierna. A illuminare da una luce diversa quel periodo arriva ora questo libro dedicato al Partito radicale. Due i punti fermi da cui l'analisi prende le mosse. In primo luogo la costituzione del partito come termine a quo dell'indagine; in secondo luogo l'ideologia positivista. Il partito, il cui primo congresso si tenne nel 1904, per quanto fragile nelle sue strutture, appare all'autore un oggetto di indagine più sicuro e più comprensibile della imprecisa nebulosa o area (come si direbbe oggi) che lo precedeva. Inoltre, lungi dal considerare la tradizione dello scientismo positivista un inutile fardello o un utile mascheramento per manovre di potere spicciole, secondo Orsina l'ideologia consente di individuare con precisione le coordinate politiche dei radicali di inizio secolo e di intenderne meglio le scelte particolari. Naturalmente nell'uno e nell'altro caso l'approccio non è irriflesso, bensì realistico. L'autore non ignora le motivazioni effettive delle singole personalità, spesso legate a interessi individuali (essere rieletto, diventare ministro), ma ciò non esaurisce né le ragioni delle scelte politiche contingenti, né quelle dell'appartenenza di quegli uomini politici a quel determinato partito. Il volume non ha un impianto narrativo, non racconta cioè le vicende del partito nella loro successione cronologica, ma è costruito secondo un procedimento analitico d'insieme. È articolato su quattro capitoli: il primo dedicato alla cultura, il secondo all'ideologia, il terzo all'organizzazione e alla composizione sociale, l'ultimo ai rapporti con Giolitti. La distinzione tra cultura e ideologia non è artificiosa, ma serve all'autore a delineare due aspetti diversi e non sempre coincidenti. Da un lato il retroterra generale da cui il partito trae le sue origini prime, dall'altro la sua espressione politica. Distinzione che consente di misurare gli scarti tra l'una e l'altra dimensione anche perché l'analisi è condotta con lodevole pazienza. In questa sede converrà ritenere particolarmente un aspetto: il ridimensionamento della crisi del positivismo che Orsina registra almeno nell'ambito della cultura media, soprattutto quella del ceto medio intellettuale da cui proveniva la gran parte dei quadri del partito. Come si è detto, l'ultimo capitolo è un'analisi dettagliata del comportamento politico dei radicali visto attraverso il rapporto con Giolitti. L'analisi è qui molto serrata e in numerosi punti innovativa rispetto alla storiografia precedente. Due elementi vanno indicati, sia pure in rapida sintesi. La convergenza governativa, sempre più convinta dal 1910 in avanti, non è spiegata in termini di coinvolgimento trasformistico ma viene opportunamente riportata all'evoluzione dottrinale del partito. Inoltre, essenziale per intendere le mosse dei radicali è il rapporto con il partito socialista, e con le sue oscillazioni tra riformismo e intransigenza. In questa doppia e duplice oscillazione, tra i variabili orientamenti di Giolitti e quelli dei socialisti, le scelte politiche dei radicali risultano comprensibili senza ridursi al semplice empirismo delle combinazioni parlamentari guidate da interessi notabiliari. Esse si mostrano in filigrana, invece, come un tentativo di aggiornamento democratico della vita pubblica che non sempre le necessità del sistema politico riuscivano a far emergere e dispiegare a pieno.
recensioni di Griffo, M. L'Indice del 1999, n. 01
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