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"Siamo italiani: che significa? Qualsiasi discorso che parta dalla domanda su chi noi siamo, su come dovremmo essere, su perché non ci riusciamo e, soprattutto, perché siamo i primi a riconoscerlo, ma poi a non fare granché per divenire ciò che diciamo di voler essere è destinato a cadere nella retorica.
La retorica è quella del "poveri ma belli"; "gaglioffi, ma simpatici"; "cinici, ma solo per delusione"; al fondo, comunque "bravi". Davvero non c'è rimedio? Oppure l'unico rimedio possibile è quello dell'urlo della piazza, dell'invocazione contro la politica?
Non è vero che la storia italiana ha prodotto da sempre lo stesso tipo di figura. E' vero, invece che noi italiani abbiamo una storia che non è solo fatta di disgrazie o di inganni. E' fatta di sviluppo e di crisi. Di momenti alti, di avanguardia persino e poi di lento declino. Prendere confidenza con la storia significa questo (oltreché provare a indagarla davvero): confrontarsi su come ce la siamo spesso raccontata e su come ci siamo costruiti una retorica che serviva a consolarci o anche a dichiaraci vittime, ma sempre assolvendoci. Scaricando la responsabilità sull'Europa che ci stravolge (una convinzione che non è nata con l'Euro), riducendo gli scandali a normale tran-tran, pronti a teorizzare l'arte di arrangiarsi e a invocare giustizia salvo ripensarci quando si tratta di rimetterci. Ma mai disposti a rivedere le nostre certezze: da quelle del "pezzo di carta" che tutti disprezziamo, ma poi tutti vogliamo; di una pratica religiosa devozionale, ma senza crederci. Comunque non credenti, ma mai laici. Affascinati dalla tecnica, ma come gioco; privi di sapere scientifico ma convinti che sarà la fantasia, la creatività a garantire il nostro futuro.
Contrari a fare i conti con pazienza con la sconfitta, quando arriva, perché convinti che tutto sia l'effetto di perfidi Robinson che ottengono la fiducia di ingenui Venerdì. E che dunque sia sufficiente gridare perché ognuno esca dal torpore. Non sarà un urlo - così come mai è stata una risata che seppellirà alcunché. E che ci libererà". (David Bidussa)
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