Nel cinquantenario della morte di Hermann Hesse (1877-1962) Adelphi ripubblica il suo più celebre romanzo, Siddhartha (1922), nella traduzione di Massimo Mila (1910-1988).
Nell'elaborazione di questa fortunatissima traduzione italiana, la più letta al mondo tra le sessanta disponibili nelle varie lingue, si può affermare, per dirla con Claudio Magris, che il giovane Mila sia stato effettivamente un "coautore" dello scrittore svevo.
La gestazione della versione di Mila, infatti, rispetto alle condizioni normali di chi traduce trascrivendo subito ogni abbozzo di frase, è stata forzatamente più vicina a quella di uno scrittore che elabora nella mente ogni pensiero più volte, prima di oggettivarlo materialmente sulla pagina. Perché Mila, nel carcere in cui si trovava quale antifascista, non aveva a disposizione né carta né penna e doveva quindi interiorizzare ciò che andava traducendo frase per frase, rimandando a tempi più felici (il 1945) la loro concreta stesura, essendo stato condannato a sette anni di carcere, di cui, grazie a un'amnistia per la nascita di un rampollo di casa reale, ne avrebbe scontato cinque tra Le Nuove di Torino e Regina Coeli di Roma.
La colpa era quella di avere fatto, come amava dire scherzosamente, il "corriere della droga", portando in Francia, attraverso i valichi che ben conosceva quale appassionato alpinista, importanti comunicati agli antifascisti esuli oltralpe, tra cui i fratelli Rosselli, scritti con l'inchiostro simpatico su degli spartiti musicali che, in mano a un giovane musicologo, non avrebbero destato sospetti, se, come ricordava l'amico Norberto Bobbio, non fosse stato denunciato all'Ovra da Pitigrilli. Soffermarsi su ogni parola del romanzo di Hesse (il tedesco era l'unica lingua da cui era allora permesso tradurre) per meditare a lungo sul suo migliore corrispettivo nella lingua italiana, rappresentò per Mila una forma di evasione dal carcere o almeno una sorta di "innere Emigration" nello spirito elevato del nobile umanista svevo, da parte di chi il fascismo aveva però deciso di combatterlo a viso aperto.
Già a diciannove anni, firmando la lettera di solidarietà a Benedetto Croce, definito da Mussolini "imboscato della storia" per le sue critiche ai Patti lateranensi, Mila era stato incarcerato per due settimane. È per questo incontro negli anni del fascismo che Mila difese sempre Hesse, anche quando più tardi lo scrittore, letto ovunque superficialmente da chi neppure si interessava di sapere da quale cultura venisse, divenne "il patriarca degli hippies", poco apprezzato dai critici militanti che gli preferivano autori dall'ermeneutica più complessa, e in fondo anche diffidenti di quel pericoloso vitalismo, dimostratosi deleterio per la cultura tedesca: Cesare Cases gli rimproverava un semplicistico "misticismo da quattro soldi", mentre per Giuseppe Bevilacqua Hesse avrebbe ridotto il meditato buddismo di Schopenhauer nell'"imparaticcio Zen delle generazioni recenti". Sicuramente Siddhartha ? nella sua "generica e facile esortazione alla saggezza", ossia all'abbandono al Tutto nel superamento degli egoistici quanto asfittici limiti individuali – è inferiore ai più sofferti e autobiografici racconti giovanili quali Sotto la ruota (non a caso l'opera più letta in Giappone, ancora oggi una "Zwangsgesellschaft"), Peter Camenzind o Gertrud. In questi racconti, la particolareggiata ambientazione tedesco-meridionale, caratterizzata dal contrasto tra natura generosa e umanità filistea, è assai più felice di quella indiana, schematica e volutamente trasfigurata.
L'umanista Hesse, pacifista della prima ora, per tutta la vita impegnato a far capire che solo un disciplinato esercizio dello spirito, non disgiunto dall'amore per la natura, ci rende liberi, è certo oggi ancora consigliabile a un adolescente quale lettura formativa, sicuramente più di quanto non lo sia un Coelho qualunque. Oggi possiamo condividere il giudizio di Claudio Magris che nel 1980, dopo averne rilevato i limiti, scrisse che "Hesse è un grande esempio umano di cordialità e di saggezza, di ironica libertà e amabile felicità (…), di quella responsabile armonia che infonde all'individuo gioia e sicurezza". Il volume è corredato di altri scritti di Hesse relativi all'Oriente e alla sua Weltanschauung, di fotografie, lettere, due saggi di Stefan Zweig e Hugo Ball e di un'ampia nota introduttiva di Massimo Mila. Un'ottima occasione per rimeditare sullo scrittore, primo premio Nobel tedesco del dopoguerra (1946), proprio in forza del suo messaggio universalistico.
Giorgio Kurschinski