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Signora Auschwitz. Il dono della parola - Edith Bruck - copertina
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Signora Auschwitz. Il dono della parola
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Signora Auschwitz. Il dono della parola - Edith Bruck - copertina
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Descrizione


"Un'impacciata studentessa rivolgendomi una domanda mi chiamò "Signora Auschwitz". Luogo che abitava il mio corpo e che mi sentivo anche addosso, come una camicia di forza sempre più stretta, che negli ultimi due anni mi stava letteralmente soffocando, senza che fossi capace di liberarmene." Ha inizio così il viaggio negli oscuri tormenti dell'anima di una "sopravvissuta", destinata a dibattersi tra i lacci di una memoria cui non si scappa e il desiderio di liberarsi del peso insopportabile di un passato che la inchioda nel ruolo di "testimone". Obbligata a rendere conto di un orrore che non si lascia raccontare e rinnova il sentimento di una perdita irreparabile, la "sopravvissuta" non può andare "oltre" e ritrovare una serena normalità, è costretta ogni volta a ricominciare da capo. Eppure al destino non si sfugge e "il dono della parola" è anche il suo eterno tormento; il dovere di non dimenticare si capovolge nella condanna a ricordare e soffrire e il desiderio di fuga riaccende un insopprimibile senso di colpa, come se il silenzio sottintendesse un vergognoso tradimento. Un racconto sul dolore della memoria, la distanza che allontana dall'indifferenza degli altri, la disperazione di fronte all'incredulità, l'eroismo necessario per raccontare l'orrore che si è vissuto. "Chi ha Auschwitz come coinquilino devastatore dentro di sé, scrivendone e parlandone non lo partorirà mai."
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Dettagli

1999
96 p.
9788831770583

Valutazioni e recensioni

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monica
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Sopravvissuta ad Auschwitz in questo libro l'autrice riflette sul valore della testimonianza e del peso che essa comporta. Parla alle scuole del suo passato indicibile, scrive libri ma questi fattori le procurano spesso non solo malesseri interiori ma anche fisici che non riesce a curare coi farmaci. Come dice lei Auschwitz e' la sua pelle, la intrappola nel suo passato e non si libera dal senso di colpa che prova per aver vissuto il Lager. Testimoniare Auschwitz e' un forte peso che deve sopportare ma e' necessario perche' negarlo non la guarisce. Un piccolo libro ma di forte impatto, fa riflettere sulle conseguenze del passato dei Lager che accompagneranno per sempre il sopravvissuto e che mai potra' guarire da esso.

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Szpilman, Wladyslaw, Il pianista. Varsavia 1939-1945. La straordinaria storia di un sopravvissuto, Baldini & Castoldi , 1999
Bruck, Edith, Signora Auschwitz. Il dono della parola, Marsilio , 1999
Kaiser, Reinhard, Baci di carta. Una storia d'amore nata al tempo sbagliato, Salani, 1999
Polak, Chaja, Sonata d'estate, La giuntina, 1999
recensioni di Barolo, O. L'Indice del 1999, n. 11

Questi quattro libri propongono quattro diverse modalità di ricordare la tragedia storica dell’Olocausto.

Szpilman scrive nel 1945, a caldo, il suo libro di memorie. "Scriverlo gli permise di rielaborare le sconvolgenti esperienze della guerra, liberando l’animo e i sentimenti così da consentirgli di continuare a vivere", afferma il figlio Andrzej nella prefazione.Pianista a Radio Varsavia, Szpilman suona per l’ultima volta al microfono il 23 settembre 1939, poco prima che una bomba tedesca colpisca la centrale elettrica, interrompendo le trasmissioni. Comincia così la drammatica vicenda di questo ebreo polacco, che attua ogni possibile strategia per difendere la propria vita al centro dell’orrore: prima insieme alla sua famiglia; poi, quando viene separato dal gruppo familiare avviato ai campi di sterminio, da solo, con l’occasionale aiuto di amici, spostandosi da un punto all’altro e nascondendosi fra le macerie della città distrutta, armato di una indefettibile volontà di vivere.Proprio nel momento in cui viene infine stanato da un ufficiale tedesco, quello che incontra è il "tedesco buono": un maestro di scuola cattolico, padre di figli bambini, costretto a quarant’anni a vestire la divisa della Wehrmacht.Il suo nome, Wilm Hosenfeld. Da lui avrà un pastrano, una coperta, del cibo; potrà salvarsi, vedere l’alba del 16 gennaio 1945.

Questa storia, esemplarmente raccontata con uno stile sobrio e asciutto, che non manifesta né sdegno, né rancore, ma semplicemente denuncia tutto l’orrore della disumana oppressione, era destinata a rimanere sconosciuta per più di cinquant’anni, dopo la pubblicazione in Polonia del 1946, subito ritirata dalla circolazione per disposizione governativa.Ha un senso ricostruire la storia della "memoria negata"? Risponde Wolf Biermann nell’appendice al libro, che comprende anche alcune pagine del diario di guerra di Wilm Hosenfeld.Il poeta denuncia questo atto di censura, spiegandolo con il fatto che nel libro si elencano troppe verità dolorose riguardanti la collaborazione di russi, polacchi, ucraini, lettoni ed ebrei
con i nazisti.D’altra parte Andrzej Szpilman scrive dello strettissimo silenzio osservato dal padre in famiglia su queste vicende, a lui note, ma sempre taciute, con reciproco accordo, fra padre e figlio.

Signora Auschwitz, che prende il titolo dal modo in cui una studentessa sprovveduta aveva chiamato una volta Edith Bruck nel farle una domanda, non è un libro di memorie, ma sulla memoria. La scrittrice ungherese – che vive in Italia da decenni e scrive in italiano –, deportata ad Auschwitz con la famiglia all’età di dodici anni, ha raccontato le sue terribili esperienze in altri libri precedenti, e soprattutto ha percorso tutta l’Italia, di scuola in scuola, per testimoniare, affinché non si dimentichi, a quali feroci aberrazioni conduca l’intolleranza. Ieri come oggi. Il "dono della parola", dunque, contro il silenzio.Ma anche lo strazio di una memoria continuamente rinnovata.Quanto costi il "dono della parola" è il tema fondamentale di questa confessione di un’anima lacerata fra il bisogno psicofisico di dimenticare – Edith Bruck lotta ad ogni testimonianza resa contro disturbi tenuti sotto controllo con psicofarmaci – e il sentimento sempre prevalente del dovere della testimonianza. Resa al di là di ogni difficoltà – l’indifferenza (l’incredulità?) dei giovani, l’ipocrisia degli insegnanti: "Volevano che dicessi e non dicessi.A volte scusandosi, mi interrompevano se parlavo dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli ebrei...".La comunicazione ne risulta compromessa.I tempi sono sempre più lontani da quegli anni cinquanta, da "quel calore umano che sapeva ancora di guerra e di miseria.E di memoria viva". Che dire oggi agli studenti "delle medie", così lontani da quei tempi, ancora così teneri, vulnerabili, peraltro più di altri disponibili all’ascolto, alla riflessione, alla commozione? Edith cerca di restituire loro la speranza. E ricorda i pochi soldati tedeschi che avevano avuto per lei "uno sguardo pietoso". E soprattutto uno: "Unico, indimenticabile, che mi aveva chiesto come mi chiamavo.Il nome, invece del mio numero: 11152".

Un bel caso di ricostituzione della memoria è quello dovuto a Reinhard Kaiser.Il casuale rinvenimento di un pacco di lettere d’amore fra l’ebreo tedesco di religione protestante Rudolf Kaufmann e la svedese Ingeborg Magnusson sollecita nello scrittore tedesco – che "ha avuto la grazia di essere nato dopo", nel 1950 – un interesse inizialmente finalizzato alla stesura di un romanzo. Ma il libro sarà altra cosa. Attraverso la storia di questo amore, di una unione mai realizzata a causa della persecuzione nazista contro gli ebrei, verrà ricostruita soprattutto la storia di quella oppressione, nei suoi abietti aspetti quotidiani. E nei suoi momenti più tragici. Dopo molte umiliazioni, Rudolf si rifugia a Kaunas in Lituania. Ma, meno fortunato di Wladyslaw, quando la Germania invade il paese, incontra un normale "tedesco cattivo" del Terzo Reich, che dice: "Questo è l’ebreo Kaufmann di Königsberg, mia moglie lavorava come domestica a casa dei suoi genitori...", e lo uccide.

Il bellissimo racconto di Chaja Polak, Sonata d’estate, è il testo letterariamente più importante fra quelli qui presentati, e in altro contesto meriterebbe una più diffusa trattazione. È fiction, e non testimonianza. Ma il tema della memoria ne è il centro lirico.Il protagonista è un ragazzino olandese, erede di una memoria "biologicamente" trasmessa e subliminalmente recepita – ma taciuta dagli adulti – degli orrori sofferti dalla comunità ebraica, di cui fa parte. Tali fatti, comunicati da segnali narrativi appena percepibili e decodificabili dal lettore avvertito, ma privi di significato razionale per lui, gli danno un disagio profondo, determinano in lui il senso di una diversità che non sa spiegare, generano il suo rifiuto dichiarato di crescere. Ma la capacità di sorridere, che il ragazzino non conosce, gliela insegna l’amicizia – l’amore? – di una ragazzina, fragile e un po’ malata incontrata su una spiaggia, un giorno d’estate.

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Conosci l'autore

Edith Bruck

1931, Tiszakarád (Ungheria)

Edith Bruck è una autrice di origini ungheresi, ma naturalizzata italiana. Nata in una povera, numerosa famiglia ebrea, nel 1944, poco più che bambina,viene portata nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen. Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l’omonimo film. Nelle sue opere ha reso testimonianza dell’evento nero del xx secolo. Ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo: Chi ti ama così (Marsilio 1994), L'amore offeso (Marsilio 2002), Lettera da Francoforte...

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