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In ‘Simmetrie’ si legge un poeta molto elaborato nella scrittura e nel pensiero, alla ricerca di una possibile via di fuga dal reclusorio della materia corporale ma che, nello stesso tempo, è affezionato al luogo della sua detenzione; talvolta il suo versificare è misterioso e assorto, come se il poeta si perdesse in meditazioni sue personali che scrive sul foglio non tanto per comunicarle a probabili lettori ma quanto appunto per meditare in sé stesso. La maggior parte dei testi sono snelli e quasi narrativi, molto interessante e articolata è la poesia che apre il libro, ‘La stanza’: “E’ una stanza il corpo: / nido-cella-recinto. / Abito in cui bastarsi, / da non potersi assentare un istante. / Gabbia d’ossa e di arterie di dove assistere al mondo…”. L’anima, imprigionata nella stanza del corpo, cresce ed evolve nella vita, nelle esperienze relazionali e in particolare amorose, ed è proprio colpa del corpo l’insazietà dell’amore che la pervade: “Corpo mai sazio, mai quieto. / Un amore al giorno cercando l’amore…”; un corpo dal quale si assiste alla corsa di altri corpi, di altre anime imprigionate, e per questo lontane, un corpo che può provare a fermare gli altri corpi, alla ricerca della compagnia che necessita l’abitante della stanza fatta di vene e arterie, ma che il poeta vede pur nella sua piccolezza corpuscolare come un “Eco di echi infiniti. / Corpuscolo che reca l’universo / e lo sostiene…/…Sede del ritornare e dell’addio”.
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